Il piano che dovrebbe portare al varo di quota 41 per tutti sta andando verso una piega inaspettata. Quasi per forza di inerzia il governo starebbe ipotizzando una quota 41 per tutti ma con ricalcolo contributivo della prestazione. Significa di fatto un taglio di assegno per i futuri pensionati. Un taglio aggiuntivo a quelli che inevitabilmente si materializzano già quando si esce dal lavoro prima come età anagrafica. E adesso vedremo in che misura i futuri pensionati sarebbero penalizzati da una misura che doveva nascere neutra da tagli ma che diventerebbe impossibile da varare senza questi ammanchi.

“Gentile redazione di Investire Oggi, sono Paolo un contribuente, lavoratore dipendente e soprattutto un vostro assiduo lettore. Volevo capire a quanto ammonterebbe il taglio di pensione che subirebbero i lavoratori nel momento in cui venisse varata la quota 41 per tutti. Perché mi sembra che si parli di un ricalcolo contributivo della prestazione. La misura mi piace come uscita, perché nel 2026 dovrei completare i 41 anni di contributi quando mi troverò a 61 anni di età. Volevo capire cosa ci rimetterei”.

Pensioni con 41 anni di contributi, ma la novità le taglia di 300 euro circa

Parlare di cantiere per quanto riguarda la riforma delle pensioni non è fuori luogo perché le lavorazioni sulla riforma delle pensioni proseguono spedite, anche se ci vorrà del tempo e soprattutto dei nuovi incontri tra governo e sindacati. Al momento è un cantiere aperto che non da ancora certezza alcuna a chi chiede informazioni sulle nuove misure. Ma una cosa appare certa. La riforma e le nuove misure, se si faranno, saranno con un concorso sulla spesa pubblica da sostenere. Perché lo Stato non si può accollare tutta l’intera spesa prevista per qualsiasi nuova misura.

Mandare in pensione prima i lavoratori significa infatti spendere dei soldi per l’INPS e per lo Stato italiano. Ecco quindi che lo stesso Stato se introdurrà nuove misure di pensionamento anticipato lo farà chiedendo un sacrificio agli stessi lavoratori che sfrutteranno le misure.

Compresa naturalmente la tanto agognata quota 41 per tutti di cui parla il nostro affezionato lettore.

La quota 41 per tutti, cos’è?

Con il nome di quota 41 per tutti si intende di fatto l’estensione della misura attualmente in vigore per alcuni lavoratori precoci, alla generalità dei lavoratori. Con questa misura, indipendentemente dai limiti di età, un lavoratore potrebbe andare in pensione una volta raggiunti i 41 anni di contributi versati. Serviranno sempre 35 anni di contributi senza considerare i figurativi da indennità di disoccupazione e gli altri figurativi da indennità di malattia. Ma per il resto, tutti in pensione una volta raggiunta la giusta carriera contributiva e basta. Una misura favorevole, che piace molto a tutti e che molti sperano venga inserita.

Calcolo contributivo della prestazione e la pensione si riduce in misura proporzionale agli anni di carriera retributivi

Oltre al risparmio in termini di spesa pubblica, c’è un altro motivo che spinge il governo verso la direzione del varo di misure penalizzate come importi per i lavoratori. Si tratta della flessibilità in uscita. Con misure senza tagli o limitazioni, inevitabilmente tutti sceglierebbero queste strade per andare in pensione. Chi resterebbe al lavoro se con 41 anni di contributi si prendesse una pensione più o meno pari a quella con 42 anni e 10 mesi? Probabilmente sarebbero pochi, rendendo la quota 41 per tutti non una opzione o una alternativa alle pensioni anticipate ordinarie, ma la pressoché unica scelta da fare.

Se invece la pensione è tagliata, il lavoratore potrebbe scegliere in base alle sue esigenze, anche reddituali e di vita, se anticipare l’uscita o restare al lavoro. Il taglio di cui tanto si parla è praticamente solo uno ed è il calcolo contributivo della prestazione.

Infatti uscire con misure che calcolano l’assegno solo con il sistema contributivo produce pensioni più basse. Non è un mistero che le pensioni calcolate sull’ammontare di quanto versato nel montante contributivo siano inferiori a quelle calcolate in base alle ultime retribuzioni. Soprattutto per chi ha una carriera superiore a 18 anni completata il 31 dicembre 1995. In questo caso il diretto interessato avrebbe avuto diritto al calcolo retributivo fino al 2012.

I tagli della quota 41, anche 300 euro in meno al mese

Molti studi hanno dimostrato che per una pensione calcolata con il sistema contributivo si può arrivare a perdere anche oltre il 30% dell’assegno pensionistico che si prenderebbe con il sistema retributivo. I calcoli sono stati effettuati su opzione donna, che è la principale misura che impone alle lavoratrici il calcolo contributivo come pegno all’uscita anticipata. Ma parliamo di una misura che permette l’uscita con 35 anni di contribuzione versata. Andrebbe peggio con la quota 41. La misura infatti ha necessità di più anni di contributi e quindi è probabile che gli interessati si trovino con 18 anni di versamenti completati già prima del 1996.

Interrompere la carriera prima inoltre, blocca il versamento dei contributi. Un lavoratore maschio che esce a 41 anni di contributi, versa un anno e 10 mesi in meno rispetto a chi lo fa con 42 anni e 10 mesi con la pensione anticipata. Questo è il primo taglio di assegno da preventivare.

Uscire prima fa perdere molti soldi

Oltretutto, fisiologicamente interrompere la carriera circa due anni prima significa uscire dal lavoro circa 2 anni più giovani come età. In questo caso il taglio di pensione deriva dal coefficiente di trasformazione che penalizza chi esce più in giovane età dal lavoro. Ed è il secondo taglio preventivabile. Se a questo si aggiunge il ricalcolo contributivo prima citato. Simulazioni e calcoli di diversi esperti portano a considerare la quota 41 per tutti così come sta nascendo, con perdite medie per i pensionati di circa 300 euro al mese di assegno.