Nonostante le promesse, le proposte e il continuo pressare della Lega, la quota 41 per tutti non verrà introdotta. La riforma delle pensioni, che avrebbe dovuto iniziare proprio con la nuova quota 41 per tutti, cambia direzione. Almeno per ora, si partirà con misure diverse da questa quota che la Lega ha adottato come autentico cavallo di battaglia. Ora emerge una nuova ipotesi di riforma delle pensioni, su cui stanno lavorando dei tecnici in un pool nato per volontà dell’allora Ministro Renato Brunetta.

Una proposta che, se diventerà realtà, segnerà un ritorno al passato, ma con una grande variazione rispetto alle misure adottate negli ultimi anni. Si parla infatti dell’azzeramento della quota, nel senso che le nuove misure flessibili diranno addio a questo meccanismo che dal 2019 ha preso piede.

Pensioni a 67 anni: serviranno 25 anni di contributi, con flessibilità a 64 anni

Negli ultimi anni, dopo l’introduzione di Ape sociale e della quota 41 per i lavoratori precoci, le uniche novità significative in materia previdenziale sono state le varie misure a quota. Nel 2019 è nata la quota 100, seguita dalla quota 102 nel 2022 e dalla quota 103 nel 2023.

Ora, come già accennato, si cambia registro. Addio alle misure per quotisti e benvenuta una riforma delle pensioni strutturalmente diversa, che i tecnici del CNEL stanno approntando. Il CNEL, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, è un gruppo di esperti creato dal Presidente Renato Brunetta con l’obiettivo di elaborare un documento per riformare il sistema.

Dalle indiscrezioni che trapelano, sembra che si stia lavorando a un ritorno al passato. Tuttavia, non tutto è oro quel che luccica. Anche se la riforma dovrebbe superare la legge Fornero, il ritorno al passato non sarà certamente il ritorno alla pensione di anzianità del 2011 o alla quota 96. Al contrario, si segnala l’addio alle quote. Ma cosa propone il CNEL? In realtà, sembra che la situazione peggiorerà.

Pensioni flessibili da 64 anni: ecco una riforma tutta nuova

La novità del CNEL, che dovrebbe essere presentata presto (era prevista per luglio ma forse uscirà a ottobre), richiama la Legge Dini e introduce una nuova flessibilità in uscita dai 64 ai 72 anni. Soprattutto, con questa riforma, si dirà addio alle quote. La flessibilità con nuove età porterebbe vantaggi per i pensionati, ma anche degli svantaggi.

Infatti, aumentando l’età di uscita e utilizzando coefficienti più alti (che dovrebbero essere modificati, passando dallo schema attuale a 16 a un nuovo schema a 9), aumenterebbe il trattamento pensionistico. Tuttavia, diventerebbe più difficile raggiungere la tanto agognata pensione.

Secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore nel nuovo dossier pensioni, redatto da un pool di esperti autorizzato, per andare in pensione a 67 anni serviranno 25 anni di contributi, cinque anni in più rispetto agli attuali 20 anni. Questa nuova proposta ha delle caratteristiche uniche: il fatto che se ne occupi il CNEL aumenta le probabilità che venga approvata.

Questo organismo, previsto a livello costituzionale, ha infatti pieno potere di iniziativa rispetto alle Regioni, al Parlamento e al Governo. È un organo consultivo che può contribuire alla creazione di nuove leggi, anche in ambito previdenziale.

Ecco il piano che allontanerà la quiescenza dai lavoratori

Il documento contenente questa riforma delle pensioni sarà presto presentato. Il pool di esperti coinvolti proviene da diversi settori. Alcuni membri sono nominati dal Presidente della Repubblica, altri dal Presidente del Consiglio, mentre altri ancora rappresentano vari settori lavorativi, culturali e giuridici.

Pertanto, quando avremo tra le mani il documento, potremo verificare se le anticipazioni si trasformeranno in realtà. La nuova flessibilità dai 64 ai 72 anni di età potrebbe diventare realtà, insieme alle pensioni di vecchiaia a 67 anni con 25 anni di contributi e un assegno probabilmente pari ad almeno 1,5 volte l’assegno sociale.

Se questa riforma sarà inclusa nel documento, molto potrebbe cambiare. In sostanza, sembra imminente un cambiamento radicale votato al risparmio della spesa pubblica, con un considerevole allontanamento del pensionamento che coinvolgerebbe anche le attuali pensioni anticipate.

Secondo alcuni esponenti del CNEL, ciò che grava maggiormente sul sistema sono proprio questi pensionamenti anticipati. Per lo Stato, pagare una pensione anticipata a un contribuente significa spendere soldi per oltre 30 anni. Pertanto, accorciare il periodo di pensionamento di cui gode un lavoratore è considerata la soluzione ideale per una nuova riforma delle pensioni.