Le pensioni anticipate sono entrate nel mirino del governo già dai tempi di Draghi. L’ex presidente della Bce e del Consiglio dei Ministri non ha mai nascosto che il problema delle pensioni in Italia riguardasse la sua sostenibilità finanziaria nel tempo. Così, terminato l’esperimento triennale di Quota 100 del governo Conte, la strada verso le uscite anticipate si è gradualmente ristretta. Il governo Meloni non sta facendo altro che proseguire su quanto già tracciato dall’esecutivo precedente.

Il problema è che, secondo le previsioni di tutti gli organismi economici italiani e internazionali, l’Italia avrà sempre più difficoltà a pagare le pensioni se non si stringono i cordoni della borsa.

Al di là delle molteplici ragioni che hanno portato al deficit finanziario dell’Inps negli anni, vale la pena ricordare che alla base del sistema pensionistico italiano mancano contributori. Vale a dire giovani lavoratori in grado di sostenere coi loro contributi il pagamento delle prestazioni previdenziali.

Le pensioni anticipate tenderanno a sparire

Così, con un colpo al cerchio e uno alla botte, si sta intervenendo anno dopo anno per ridurre il più possibile i costi e, in particolare, le uscite anticipate. Il governo non ha mai fatto mistero del fatto che sarà sempre più necessario introdurre criteri di flessibilità e tutelare le persone svantaggiate. Tradotto, pensioni anticipate solo per talune categorie di lavoratori, come i caregiver, gli invalidi e gli usuranti.

Per tutti gli altri resteranno solo le uscite previste dalla Fornero. Cioè la pensione di vecchiaia, oggi a 67 anni di età, o quella anticipata ordinaria con 42 anni e 10 mesi di contributi (12 mesi in meno per le donne) indipendentemente dall’età. Tutte le altre forme pensionistiche tenderanno a sparire convergendo verso le regole adottate dal governo Monti nel 2012 e sempre derogate dai governi successivi.

Il destino di Quota 103

Un chiaro esempio di come le pensioni anticipate saranno eliminate, è dato da Quota 103.

La misura, in scadenza lo scorso 31 dicembre 2023, è stata prorogata in extremis dal Parlamento su pressione dei sindacati e in attesa di adottare un nuovo piano di riforme pensionistiche. Di fatto, però, l’uscita anticipata a 62 anni con 41 di contributi, è oggi più stretta a causa di nuove restrizioni.

Ma Quota 103 è oggi meno conveniente. Chi intende lasciare il lavoro in anticipo da quest’anno deve mettere in conto il ricalcolo interamente contributivo della pensione. Il che è penalizzante al punto che si rischia di perdere fino al 17% dell’importo della rendita. Per non parlare dei tempi di attesa dell’assegno (finestra mobile) che vanno dai 7 mesi per i lavoratori privati ai 9 mesi per i dipendenti pubblici, con tetto massimo pari a 4 volte l’importo del trattamento minimo.

Insomma, se da una parte l’opzione è stata prorogata per accontentare i sindacati, dall’altra pochissimi lavoratori accetteranno quest’anno di andare in pensione con un assegno tagliato. Al punto che Quota 103 tenderà a sparire da sola senza alcun bisogno di un intervento da parte del legislatore.

Ape Sociale e Opzione Donna più difficili da ottenere

Che la tendenza sia quella di tagliare ulteriormente le pensioni anticipate lo si può vedere anche da Ape Sociale e Opzione Donna. Entrambe le deroghe pensionistiche alla Fornero sono state modificate quest’anno nei requisiti anagrafici. Sostanzialmente per Ape Sociale occorrono adesso 5 mesi in più sulla carta d’identità (63 anni e 5 mesi) per chiederne il riconoscimento all’Inps.

Idem per Opzione Donna che ha visto peggiorare di 1 anno il requisito anagrafico passando da 60 a 61 anni per le lavoratrici. Pur in presenza di penalizzazioni nel calcolo della rendita dovute all’applicazione del sistema contributivo per il conteggio della pensione.

Riassumendo…

  • Le pensioni anticipate tenderanno a sparire col tempo per esigenze di bilancio.
  • Quota 103 è da quest’anno meno conveniente rispetto al 2023
  • Anche Ape Sociale e Opzione Donna ha visto un peggioramento dei requisiti anagrafici.