Oggi che la riforma delle pensioni torna a essere un argomento caldo, nonostante le persistenti difficoltà economiche che la rendono complicata. Cerchiamo di fare un’analisi su cosa significhi andare in pensione prima. Esistono già diverse misure che consentono il pensionamento anticipato, ma sono misure ricche di limitazioni e probabilmente penalizzazioni. Comunemente si dice che anche le eventuali nuove misure, che potrebbero presto superare definitivamente la riforma Fornero, non saranno esenti da questo genere di problematiche. E allora, siamo davvero sicuri che andare in pensione prima sia davvero vantaggioso? Pertanto, pensioni anticipate sì, ma ecco misura per misura cosa ci rimette il pensionato.

Le pensioni anticipate penalizzano a prescindere da tutto, ecco perché

Andare in pensione con le misure ordinarie significa scegliere tra due vie differenti. La prima è quella che ha nell’età anagrafica il punto cardine. Ovvero la pensione di vecchiaia ordinaria, che si ottiene con un minimo di 67 anni di età e 20 anni di contributi.

Poi c’è la pensione anticipata ordinaria, che non prevede limiti di età ma solo contributivi, permettendo ai lavoratori di andare in pensione con 42 anni e 10 mesi di contributi, o 41 anni e 10 mesi per le lavoratrici.

Una via di mezzo tra queste due uscite è la pensione anticipata contributiva. Riservata a chi non ha contributi versati prima del 1996, che consente di andare in pensione a 64 anni con 20 anni di contributi. Ma solo se la pensione è pari ad almeno 3 volte l’assegno sociale. Per le donne con un figlio, 2,8 volte, per quelle con più figli, 2,6 volte.

Qualsiasi altra misura di pensionamento anticipato va considerata straordinaria o in deroga ai requisiti vigenti. E non c’è misura che consenta un pensionamento prima dei requisiti ordinari senza prevedere penalizzazioni, siano esse fisse del sistema, che potremmo definire strutturali, o particolari, che variano da misura a misura.

Ecco tutti i tagli e le limitazioni delle pensioni anticipate e perché non ci sono contribuenti che prendono una pensione neutra da penalizzazioni se escono prima dal lavoro.

Pensioni anticipate sì, ma ecco misura per misura cosa ci rimette il pensionato

Partiamo dalle penalizzazioni fisse a cui va incontro un contribuente che sceglie di andare in pensione in anticipo, senza aspettare il completamento dei requisiti per le pensioni di vecchiaia o per le pensioni anticipate.

Chi esce prima, infatti, blocca la carriera lavorativa e non versa più contributi. Soprattutto per il sistema contributivo, più contributi si versano, più alta sarà la pensione. Pertanto, chi sceglie la pensione al posto del lavoro per qualche anno perde inevitabilmente qualcosa sul trattamento previdenziale, non contribuendo più ad alimentare il montante contributivo che alla fine viene trasformato in pensione.

Inoltre, il metodo con cui un montante contributivo viene trasformato in pensione prevede importi tanto più alti quanto maggiore è l’età del pensionamento. In termini pratici, uscire ad un’età inferiore, come fa chi anticipa la pensione con una qualsiasi misura, significa ottenere un trattamento più basso anche a parità di contributi.

L’accumulo dei contributi versati, che finiscono nel cosiddetto montante contributivo, dopo essere stati rivalutati ai vari tassi di inflazione, viene moltiplicato per delle percentuali, i cosiddetti coefficienti di trasformazione. Per il 2024, questi sono:

  • 57 anni: 4,186%
  • 58 anni: 4,289%
  • 59 anni: 4,399%
  • 60 anni: 4,515%
  • 61 anni: 4,639%
  • 62 anni: 4,770%
  • 63 anni: 4,910%
  • 64 anni: 5,060%
  • 65 anni: 5,220%
  • 66 anni: 5,391%
  • 67 anni: 5,575%
  • 68 anni: 5,772%
  • 69 anni: 5,985%
  • 70 anni: 6,215%
  • 71 anni: 6,466%

Ape sociale e pensione in anticipo, ma a quale prezzo?

Oltre alle penalizzazioni fisse della pensione, ci sono tante altre variabili da misura a misura. Un mix di tagli sia strutturali che particolari per misura. Questo conferma come non ci siano misure di pensionamento anticipato prive di riduzioni dell’assegno per chi le sceglie per lasciare il lavoro in alternativa alle pensioni ordinarie.

Prendiamo ad esempio l’Ape sociale.

La misura che riguarda invalidi, caregiver, disoccupati e lavoratori gravosi consente l’uscita a 63 anni e 5 mesi con 30 o 36 anni di contributi. Tuttavia, chi ha diritto a una pensione superiore a 1.500 euro al mese deve considerare che fino a 67 anni questa misura non permette di percepire un trattamento superiore a 1.500 euro lordi al mese.

Inoltre, chi lascia il lavoro con l’Ape sociale non può svolgere altre attività lavorative, quindi non può arrotondare la pensione percepita fino a 67 anni con un lavoro autonomo o dipendente. L’unica eccezione ammessa è il lavoro autonomo occasionale, a condizione che non superi i 5.000 euro di reddito aggiuntivo per anno solare. Inoltre, fino a 67 anni, con l’Ape sociale non si percepiscono maggiorazioni, assegni familiari e nemmeno la tredicesima.

Opzione donna e quota 103 accomunate dal calcolo contributivo e penalizzante

Altre misure di pensionamento anticipato sono la quota 103 e opzione donna. La prima riguarda la generalità dei lavoratori che devono arrivare a 62 anni di età e a 41 anni di contributi per sfruttare il canale di uscita anticipato. La seconda permette a caregiver, invalide, licenziate o lavoratrici in aziende con tavoli di crisi avviati al Ministero di accedere alla pensione ad un’età variabile tra i 59 e i 61 anni (in base al numero di figli), con 35 anni di contributi.

Due misure differenti, accomunate però dalla stessa penalizzazione: entrambe prevedono il calcolo della pensione con il sistema contributivo, che è penalizzante. Penalizzazioni dell’assegno che accompagnano il pensionato o la pensionata per il resto della vita e che sono tanto maggiori quanti più anni di contributi il diretto interessato può vantare prima del 1996.

Chi ha maturato carriere contributive di 18 anni o più prima del 1996, avrebbe diritto, con le misure ordinarie, ad un calcolo della prestazione con il retributivo fino al 31 dicembre 2011 (chi ha meno di 18 anni al 31 dicembre 1995, ha diritto al calcolo retributivo fino a quella data), e contributivo poi. Per la quota 103, inoltre, vige il divieto di cumulare redditi da lavoro con redditi da pensione fino a 67 anni di età.

Questo vincolo, con le stesse eccezioni citate per l’Ape sociale, prevede che fino a 67 anni di età chi va in pensione con quota 103 non possa percepire un trattamento superiore, anche se gli spetta, a 4 volte il trattamento minimo previsto dall’INPS ogni anno.