Pensioni di vecchiaia, a volte bastano 15 anni o addirittura 5, e l’età può variare da 63 a 71 anni, ecco la guida

Pensioni di vecchiaia: ecco quando possono bastare 20, 15 o addirittura 5 anni di versamenti e quando l’età può variare da 63 a 71 anni.
3 mesi fa
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Pensioni di vecchiaia, a volte bastano 15 anni o addirittura 5, e l’età può variare da 63 a 71 anni, ecco la guida
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La pensione di vecchiaia ordinaria può, a ragione, essere considerata la principale misura previdenziale che il sistema mette a disposizione dei lavoratori. Si tratta di una delle poche misure che non presenta particolari vincoli di accesso (insieme alla pensione anticipata ordinaria). Ciò perché è aperta a tutti i lavoratori che raggiungono i requisiti previsti.

Tuttavia, su questa misura ci sono alcune variabili che, pur non essendo definibile flessibile, la rendono differente nei requisiti da contribuente a contribuente. Presentiamo oggi una guida sintetica con una serie di agevolazioni che i lavoratori e i contribuenti possono sfruttare.

Infatti, per le pensioni di vecchiaia, a volte bastano 15 anni o addirittura 5, e l’età può variare da 63 a 71 anni. Ecco quindi la guida e le spiegazioni di questi evidenti vantaggi.

Pensioni di vecchiaia: a volte bastano 15 anni o addirittura 5, e l’età può variare da 63 a 71 anni

Per le pensioni di vecchiaia ordinarie, gli interessati devono innanzitutto raggiungere 67 anni di età e almeno 20 anni di contributi. La combinazione fissa è quindi 67+20. I requisiti resteranno congelati fino al 2026, quindi età e contributi per la generalità dei lavoratori rimarranno quelli precedentemente esposti.

È importante sottolineare che esistono delle differenze tra chi ha il primo accredito di contribuzione alla previdenza obbligatoria prima del 1996 e chi lo ha successivamente. Per questi ultimi, è necessario che la pensione sia liquidata, alla data di uscita, per un importo non inferiore all’assegno sociale valido nell’anno di uscita.

Quando si afferma che, per le pensioni di vecchiaia, a volte bastano 15 anni o addirittura 5, e l’età può variare da 63 a 71 anni, è fondamentale partire dalle differenti regole tra contributivi e retributivi. Le differenze non si limitano al requisito aggiuntivo dell’importo minimo della pensione, che nel 2024 è stato ridotto, essendo in precedenza pari a 1,5 volte l’assegno sociale.

Ad esempio, per i contributivi, c’è la possibilità di anticipare l’uscita di ben 3 anni.

O di sfruttare un’opportunità dedicata: lasciare il lavoro con solo 5 anni di contributi, anche se solo a 71 anni.

Le pensioni di vecchiaia a 64 anni, anche se non si chiamano così

Nel sistema previdenziale esistono regole differenti sia di calcolo della pensione che di diritto, tra chi ha iniziato a versare i contributi prima del 1996 e chi ha iniziato dopo. In alcuni casi, per i soggetti la cui carriera ha avuto inizio dopo il 31 dicembre 1995, c’è la possibilità di scegliere la pensione 3 anni prima rispetto all’età pensionabile di 67 anni, sempre con la stessa carriera minima di contributi prevista per la quiescenza di vecchiaia, cioè i soliti 20 anni di contributi.

Il lavoratore che ha cominciato a lavorare dopo il 1995 può scegliere di lasciare il lavoro con la pensione anticipata contributiva. La combinazione è 64+20, che sembra una pensione di vecchiaia con requisiti inferiori, anche se è considerata una variante delle pensioni anticipate ordinarie. Chi ha il primo accredito in epoca contributiva può quindi sfruttare questa soluzione per anticipare l’uscita, ma solo se raggiunge un importo minimo di pensione. Per la generalità di questi soggetti, la pensione non deve essere inferiore a 3 volte l’importo dell’assegno sociale.

Nel 2024, questo importo è pari a 534,41 euro, pertanto la pensione anticipata contributiva è un’opportunità fruibile solo se si raggiungono almeno 1603,23 euro al mese lordi. Per le lavoratrici con figli, la soglia è più bassa e l’uscita è più facile da raggiungere: l’importo minimo è pari ad almeno 2,6 volte l’assegno sociale per chi ha avuto più di un figlio e 2,8 volte per chi ne ha avuto uno solo.

Per i contributivi, il vantaggio della pensione a 71 anni, ma c’è la variabile del computo in Gestione Separata

Oltre alla pensione a 64 anni di età con 20 anni di contributi versati, i contributivi puri possono godere anche del vantaggio della pensione con solo 5 anni di versamenti.

Infatti, la combinazione 71+5 è una possibilità riservata ai lavoratori con iscrizione alla previdenza obbligatoria successiva al 31 dicembre 1995, a meno che non sia il lavoratore stesso, la cui carriera è iniziata prima, a scegliere il sistema contributivo.

Questo è possibile per coloro che hanno almeno un mese di versamento nella Gestione Separata, in modo da poter sfruttare la facoltà di computo, che apre anche a chi contributivo puro non è la via della pensione anticipata contributiva. E quindi, con la combinazione 64+20 di cui parlavamo nel paragrafo precedente.

Andare in pensione senza i 20 anni di carriera contributiva per la vecchiaia non è generalmente possibile. Ecco perché la possibilità di andare in pensione a 71 anni può non sembrare un vantaggio, ma a ben vedere lo è.

Donne, lavoratrici e madri: ecco alcuni vantaggi anche sulle pensioni di vecchiaia ordinarie

La distinzione tra contributivi e retributivi non è l’unica nel sistema previdenziale italiano, anche per le pensioni ordinarie. Ad esempio, c’è da fare un distinguo di genere, tra uomini e donne, con queste ultime che, se hanno avuto dei figli, possono sfruttare un vantaggio che abbassa l’età pensionabile per la quiescenza di vecchiaia. Un vantaggio che si pone come alternativa a regole più favorevoli di calcolo delle prestazioni.

La lavoratrice che ha avuto uno o due figli può scegliere tra l’anticipo di 8 mesi sull’età pensionabile (4 mesi a figlio, quindi uscita a 66 anni e 4 mesi anziché 67) o il calcolo della pensione con il coefficiente dei 65 anni, uscendo a 64 anni (anticipata contributiva) o con il coefficiente dei 68 anni, uscendo a 67 anni (pensione di vecchiaia).

Se invece i figli avuti dalla lavoratrice sono tre o più, l’opzione cambia. La lavoratrice può optare per un anticipo di 12 mesi sull’età pensionabile (4 mesi a figlio, fino a un massimo di 12 mesi. Quindi uscita a 66 anni anziché 67). O il calcolo della pensione con il coefficiente dei 66 anni, uscendo a 64 anni (anticipata contributiva).

O, ancora, con il coefficiente di 69 anni, uscendo a 67 anni (pensione di vecchiaia).

Questo vantaggio può essere sfruttato anche per le pensioni anticipate contributive, uscendo a 63 anni di età (o a 63 anni e 4 mesi con due figli, o 63 anni e 8 mesi con un solo figlio) anziché a 64, o con il solito calcolo di due anni migliore come coefficiente con 3 o più figli (quello dei 66 anni, uscendo a 64 anni con tre o più figli, o a 65 anni uscendo a 64 anni con uno o due figli).

Anche il lavoro gravoso o usurante agevola l’uscita, ma dimenticate i 20 anni di contributi

Un’altra distinzione importante, che può permettere ai lavoratori di andare in pensione prima, è basata sulla tipologia di attività lavorativa svolta. Ad esempio, il lavoratore che svolge un’attività gravosa tra le 15 previste per l’Ape sociale o per la quota 41 precoci, oppure che svolge un lavoro usurante, ha la possibilità di pensionamento con 66 anni e 7 mesi di età.

In questo caso, però, sono necessari 30 anni di contributi effettivi versati (senza considerare i figurativi). Non bastano quindi 20 anni di contributi a qualsiasi titolo come per le pensioni di vecchiaia. Infatti, per i lavori gravosi e usuranti, dal 2019 non si applica l’aumento di 5 mesi dell’età pensionabile previsto dall’applicazione dell’aspettativa di vita.

Lo scatto che portò da 66 anni e 7 mesi di età la pensione di vecchiaia a 67 anni non si applica per chi rientra tra le categorie di attività lavorativa considerate usuranti. O per la pensione con Ape sociale e quota 41 precoci.

Difficili da sfruttare e ormai spesso impossibili, ma le deroghe Amato sono ancora attive

Con 15 anni di contributi, ma alla stessa età della pensione di vecchiaia ordinaria, cioè 67 anni, è necessario parlare delle tre deroghe Amato. Queste misure consentono di andare in pensione anche solo con 15 anni di contributi. Come vedremo, in base ai requisiti, queste misure sono ormai difficilmente sfruttabili da chi non è ancora andato in pensione.

La prima deroga prevede che i 15 anni di contributi debbano essere stati completati entro il 31 dicembre 1992. Naturalmente per andare in pensione a 67 anni, perché la deroga non accorcia l’età pensionabile. La seconda deroga parla di prosecuzione volontaria dei versamenti. La misura permette il pensionamento a chi, sempre entro il 31 dicembre 1992, ha ricevuto l’approvazione per i versamenti volontari da parte dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, indipendentemente dal versamento effettivo. Infatti, basta la sola autorizzazione.

Infine, la terza deroga riguarda i lavoratori intermittenti e discontinui. Ossia coloro che hanno avuto una carriera con almeno 10 anni di lavoro coperti per periodi di contribuzione annuale inferiori alle 52 settimane. Serve però un’anzianità di 25 anni, nel senso che la data di iscrizione alla previdenza obbligatoria deve essere di almeno 25 anni fa.

Giacomo Mazzarella

In Investireoggi dal 2022 è una firma fissa nella sezione Fisco del giornale, con guide, approfondimenti e risposte ai quesiti dei lettori.
Operatore di Patronato e CAF, esperto di pensioni, lavoro e fisco.
Appassionato di scrittura unisce il lavoro nel suo studio professionale con le collaborazioni con diverse testate e siti.

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