Quando si parla di pensioni oggi è inevitabile finire con il parlare della Legge Fornero e di ciò che ha causato. Anche se tutti puntano il dito contro la riforma del Governo Monti/Fornero per l’attuale rigidità del sistema, spesso non conoscono davvero cosa abbia fatto la Fornero. Qualcuno vorrebbe correggere questa normativa, ma la strada è impervia e ricca di ostacoli. I margini di manovra per i legislatori sono molto stretti, poiché le risorse a disposizione sono poche e aumentare la spesa pubblica previdenziale sarebbe, secondo molti, un onere che ricadrebbe sui giovani.

Superare la riforma Fornero adesso rischia di peggiorare la situazione, non di migliorarla. Alcuni esperti propongono di portare l’età pensionabile a 70 anni.

Pensioni di vecchiaia solo a 70 anni: ecco la proposta che fa paura e perché è necessario approvarla

Correggere la riforma Fornero è diverso da superarla, poiché significa ritoccare la legge previdenziale vigente, ma nella direzione opposta a quella attesa da molti. Niente quota 41 per tutti o pensioni flessibili a età basse come 62 anni. Occorre piuttosto innalzare l’età pensionabile, avvicinandosi alla pensione di vecchiaia contributiva, che oggi permette uscite solo a 71 anni per molti lavoratori. Inasprire ulteriormente i requisiti, anziché alleggerire la riforma Fornero, è la proposta in discussione.

Cosa ha fatto la Legge Fornero e perché le pensioni di vecchiaia a 70 anni sono necessarie

La Legge Fornero ha inasprito notevolmente i requisiti per le pensioni, trasformando le pensioni di anzianità in pensioni anticipate e portando il tetto minimo per le pensioni senza limiti di età a 42,10 anni per gli uomini e 41,10 anni per le donne, dai precedenti 40 anni. La riforma ha anche abolito la quota 96, che consentiva pensioni anticipate con 60 anni di età e 35 anni di contributi, e introdotto il contributivo pro-rata per tutti, inclusi i retributivi. Queste misure hanno avuto un impatto negativo sulle pensioni dei lavoratori, ma hanno migliorato la sostenibilità del sistema previdenziale, in un periodo di grave crisi economica caratterizzato da uno spread elevato.

Il costo dei beneficiari delle pensioni deve ridursi: ecco come

Cambiare la legge previdenziale non è semplice. Piuttosto che aumentare la spesa pubblica, questa va ridotta. Come? Diminuendo l’importo delle pensioni o ritardando l’età pensionabile. Meno anni si trascorrono in pensione, meno si grava sulle casse dello Stato. Meno mesi di pensione concessi, meno spesa pubblica.

Inoltre, pensioni di importo inferiore riducono ulteriormente la spesa. E se i tagli incentivano molti a restare al lavoro, tanto meglio: un doppio vantaggio per lo Stato. Ecco perché la pensione di vecchiaia a 70 anni si inserisce in uno scenario di requisiti più severi e sacrifici per i lavoratori, a favore della sostenibilità della spesa pubblica.

Proposte impopolari ma necessarie per la sostenibilità del sistema pensionistico italiano

Sul Corriere della Sera, il Presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, ha presentato alcune idee per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale e correggere (non superare) la Legge Fornero. Tra le proposte, vi è l’innalzamento dell’età pensionabile. Attualmente, l’età pensionabile è 67 anni con un minimo di 20 anni di contributi per le pensioni di vecchiaia ordinarie. Portarla a 70 anni sarebbe una soluzione a basso impatto e con elevato risparmio per le casse statali.

Pensione di vecchiaia a 70 anni: Assegno Sociale e contributi minimi

Portare l’età pensionabile a 70 anni per le pensioni di vecchiaia e per l’Assegno Sociale avrebbe due risvolti: uno economico e uno sociale. Come evidenziato dal Corriere, a 67 anni c’è chi richiede l’Assegno Sociale o la pensione, pur avendo versato pochi o nessun contributo. Mancano i controlli pre-pensionamento, presenti in altri Paesi, dove chi non ha mai prodotto una dichiarazione dei redditi viene convocato per verificare il suo sostentamento.

Chi percepisce l’Assegno Sociale, infatti, spesso non ha mai contribuito attivamente, ma riesce comunque a ottenere una rendita mensile.

Chi non ha versato a sufficienza deve essere penalizzato

Coloro che hanno versato poco dovrebbero andare in pensione più tardi rispetto agli attuali 67 anni. Questo concetto può essere discusso, poiché penalizza chi ha avuto problemi di continuità lavorativa o ha svolto lavori domestici non retribuiti. Tuttavia, la spesa per le pensioni di vecchiaia con 20 anni di contributi e per l’Assegno Sociale è in continua crescita. Sebbene l’Assegno Sociale valga solo 535 euro al mese, non è sufficiente per vivere dignitosamente. La situazione non cambierebbe dal punto di vista degli importi per le pensioni di vecchiaia a 70 anni, ma ridurrebbe la spesa pubblica.

I contributi figurativi non devono essere tanti

Un altro problema riguarda chi ha accumulato contributi figurativi da disoccupazione e malattia. Secondo Brambilla, le pensioni percepite, anche se pari solo a 535 euro, non sono giustificate dai versamenti contributivi effettuati. Una soluzione sarebbe aumentare da 20 a 25 anni la carriera contributiva necessaria per la pensione di vecchiaia, e permettere il pensionamento solo con un importo mensile di almeno 700 euro (1,5 volte l’assegno sociale). Altrimenti, tutti a 70 anni come prima detto. Infine, si propone una pensione di vecchiaia anticipata: uscita a partire dai 64 anni con 38 anni di contributi, ma massimo 3 anni di contributi figurativi.