Quanto contano le pensioni in Italia? L’esercito dei pensionati, al 31 dicembre 2021, ammontava a 16,1 milioni di persone secondo i dati Istat appena divulgati. Il 26,8 per cento della popolazione residente, più di uno su quattro.

A fronte di questi numeri, che lasciano anche intravvedere un rapido aumento della popolazione anziana, viene da domandarsi come farà l’Italia a mantenere sempre più vecchi in pensione a fronte di una occupazione giovanile che stenta a decollare.

Italia, un Pase di rentiers

Non è solo una questione di conti da far quadrare per evitare il ritorno alle regole Fornero per tutti dal 2023.

E’ anche un problema di principio che vede l’Italia sempre più protesa a cercare di uscire prima dal lavoro per mettersi a riposo e vivere di rendita.

Il nostro è diventato un Paese di “rentiers”, cioè di mantenuti. Il che non è da disprezzare. Ma se il rapporto fra chi lavora e chi è in pensione tende a favore di questi ultimi, prima o poi si rischia il collasso. Anche perché l’occupazione giovanile non va rimanendo su livelli record rispetto al resto d’Europa. Mentre i contratti di lavoro tendono al precariato diffuso.

Come osserva Mara Guarino di Itinerari Previdenziali, l’occupazione del Belpaese continua a caratterizzarsi, almeno nel confronto con gli altri Paesi europei, per una scarsa partecipazione dei lavoratori senior. Il che presuppone che i lavoratori tendono tutti a sognare la pensione come traguardo della loro carriera puntando ad ottenerla prima possibile. A scapito della salvaguardia di esperienze e del lavoro senior.

Da qui le misure finora adottate negli ultimi 10 anni per dribblare la riforma Fornero e mandare in pensione più persone possibili prima dei 67 anni di età. Al punto che ci siamo guadagnati il primato europeo per uscite anticipate dal mondo del lavoro.

Età media pensionati 63,8 anni

Secondo l’Ocse, nel 2020 l’età media dei pensionamenti era di 61,8 anni di età.

Contro una media di 64 anni, come riporta il report “Pensions at a Glance 2021”. Secondo l’Inps, invece, l’età effettiva di pensionamento nello stesso anno era di 63,8 anni. La differenza è sostanzialmente dovuta al fatto che i dati Ocse sono il risultato di una media relativa basata su cinque anni. Ma non sono sbagliati.

Detto questo, è opportuno osservare che mantenere un flusso di pensionamenti con una età media di uscita intorno ai 64 anni, implica una spesa previdenziale che andrà inevitabilmente fuori controllo in futuro. E questo è abbastanza evidente se si pensa che fra 20 anni in Italia ci saranno 6,8 milioni di lavoratori in meno e più anziani da mantenere.

Inoltre lo Stato è costretto a pagare rendite pubbliche per troppo tempo rispetto alla vita media. Il che sarebbe anche sostenibile se il turn over funzionasse a pieno regime. Ma come abbiamo visto, i pensionamenti anticipati, a partire da Quota 100, sono stati utilizzati più che altro dalle aziende per ridurre la manodopera e tagliare i costi. In realtà, conti alla mano, le pensioni anticipate non hanno favorito l’occupazione giovanile.

Il nodo dei costi delle pensioni 

E poi c’è il problema dei costi delle pensioni. Queste devono essere rivalutate in base all’inflazione. Ma quanto ci costano? Dal prossimo anno lo Stato sarà chiamato a rivalutare più di 16 milioni di assegni, oltre a tutte le prestazioni assistenziali erogate dall’Inps. Un conto da 24 miliardi di euro che andrà ad aggiungersi ai 313 miliardi finora spesi per mantenere pensionati e assistiti.

Dove trovare, quindi, altri soldi per fare le riforme? O per mandare in pensione i lavoratori con Quota 41 come chiede la Lega? Impossibile, a meno che non si faccia uno scostamento di bilancio che, in questo momento, è visto come il fumo negli occhi da tutti.

A cominciare da Bankitalia per finire ai piani alti di Bruxelles.

Pertanto, posto che si dovranno spendere 24 miliardi di euro per sostenere il potere di acquisto dei pensionati, non riesce proprio a capire dove il governo possa trovare i soldi per fare una vera riforma pensioni per evitare il ritorno della Fornero nel 2023.

Tramontano quindi le speranze che Quota 102 possa essere sostituita da Quota 41. Costerebbe 18 miliardi di euro per i primi tre anni. Soldi che, sommati al costo della perequazione automatica a partire da gennaio, non ci sono. Nemmeno andando a rosicchiare dai flussi delle maggiori entrate fiscali di quest’anno.