Anche se sono state tante le novità che la Manovra di bilancio del governo Meloni ha introdotto per quanto riguarda le pensioni, bisogna chiarire alcune cose che magari a molti contribuenti non sono tanto chiare. Infatti, anche se tutte le novità introdotte dal Governo sottolineano nei 63 anni di età quella idonea per anticipare le uscite rispetto alla pensione di vecchiaia, va detto che tutte le altre misure in deroga ai requisiti vigenti restano perfettamente fruibili.

Anche perché tutte e tre le novità previdenziali introdotte dal Governo prevedono carriere contributive piuttosto lunghe.

Carriere che di fatto tagliano fuori quanti invece non hanno avuto la fortuna di accumulare un congruo numero di anni di contributi versati. Ma per loro alcune misure esistono ancora.

“Buonasera, volevo chiedervi se con questa specie di riforma delle pensioni che ha introdotto il governo Meloni, qualcosa è cambiato per quanto riguarda le misure destinate a chi non arriva a superare i 30 anni di contributi versati. Mi sembra infatti che il Governo abbia voluto guardare soprattutto a quanti hanno carriere contributive molto lunghe mentre io che nel 2024 arriverò solo a vent’anni di contributi versati non posso certo rientrare in queste novità appena introdotte. Sono nato nel 1960 e volevo capire se esistevano vie di uscita dalla pensione anche per chi non ha tanti contributi versati come me. Grazie in anticipo per la vostra eventuale risposta.”

Pensioni: ecco cosa resta per chi ha 20 anni di contributi o poco più

Effettivamente il nostro lettore ha ragione quando sottolinea il fatto che le misure appena introdotte dal Governo a partire dai 63 anni di età hanno bisogno anche di carriere contributive molto lunghe. Per le donne per esempio servono 35 anni di contributi versati. Invece per invalidi e disoccupati ne serviranno 36, alla pari dei lavori gravosi e dei caregiver. Per gli altri di anni di contributi previdenziali versati ne servono 41.

A questo si deve aggiungere che la pensione anticipata ordinaria, continuerà a essere fruibile con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne. In più resta attiva la quota 41 per i lavoratori precoci. Basta avere un anno di contributi prima dei 19 anni di età e appartenere alternativamente a disoccupati, disabili, caregiver o lavori gravosi e 41 anni di contributi possono bastare a prescindere dall’età.

Carriere lunghe quindi, che non sono certo facili da completare. E per chi ha 20 anni di contributi o poco più? Purtroppo da anni tutti i governi che si sono succeduti hanno sempre varato misure che prevedono carriere lunghe.

Pensioni con pochi anni di versamenti? Lo Stato non ha mai agevolato le uscite anticipate

Il governo Renzi vara, per esempio, l’Ape sociale e quota 41. E come detto, per l’Ape servivano minimo 30 anni di contributi se non 36 anni. Fu un governo Berlusconi nel 2004 a varare Opzione donna. Ma a una età piuttosto favorevole (58 per le dipendenti e 59 per le autonome, ndr) aggiunse 35 anni di contribuzione minima. Più nell’attualità, il primo governo Conte varò la quota 100, che prevedeva almeno 38 anni di contributi a una età di partenza pari a 62 anni. Poi si passò a 64 anni e sempre 38 di contributi con la quota 102. Infine, si andò ai 62 anni ma con 41 di contributi per la quota 103.

In definitiva, c’è stato sempre poco per i lavoratori con carriere corte. La via principale per loro resta la pensione di vecchiaia ordinaria. Che si centra con 67 anni di età e 20 anni di contributi. Per questa misura è arrivata una novità positiva. Infatti anche i contributivi puri, che fino al 2023 per accedere alla pensione di vecchiaia dovevano maturare una pensione pari ad 1,5 volte l’assegno sociale, potranno andare in pensione senza questo vincolo.

Il governo Meloni ha equiparato i contributivi con i retributivi e quindi per tutti la pensione di vecchiaia dal 2024 scatterà a 67 anni di età con almeno 20 anni di contributi.

Ecco alcune possibilità per chi ha 20 anni di contributi o meno

Con solo 20 anni di versamenti, a 64 anni possono uscire quanti hanno iniziato coi versamenti contributivi (anche se figurativi, da riscatto o volontari), dopo il 31 dicembre 1995. Ma devono raggiungere una pensione di importo non inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale. Bastano 20 anni anche a chi ha una invalidità pensionabile pari ad almeno l’80%. Per gli uomini si può lasciare il lavoro a 61 anni di età, per le donne invece già a 56 anni.

E sono valide ancora le deroghe Amato, anche se difficili da prendere. Servono comunque 67 anni di età e 15 anni di contributi. Ma solo se i 15 anni sono stati completati già al 31 dicembre 1992, come prevede la prima deroga. Oppure se l’INPS ha autorizzato, sempre entro la fine del 1992, al versamento dei contributi volontari il lavoratore interessato. In questo caso è la seconda deroga.

Infine, con una carriera fatta da almeno 10 anni con copertura contributiva inferiore a 52 settimane, e con anzianità di almeno 25 anni (cioè il primo versamento deve essere antecedente 25 anni alla data di pensionamento), possono accedere alla terza deroga alcuni lavoratori discontinui.

Per i discontinui c’è poco da sempre

Altre misure che prevedono carriere corte, se non consideriamo l’assegno sociale che tutto è tranne che una pensione previdenziale, non ce ne sono. E a poco serve svolgere determinate attività per uscire dal lavoro con carriere corte. Basti pensare che perfino lo scivolo per usuranti, che consente di uscire con quota 97,6 completata e già a 61,7 anni di età, prevede una carriera non inferiore a 35 anni. Evidente che tutti i governi degli ultimi anni hanno voluto agevolare le uscite di chi ha avuto carriere piuttosto lunghe. Tralasciando, come detto, chi invece ha avuto carriere discontinue e corte.