Le pensioni integrative non decollano in Italia e fra i giovani lavoratori è flop confermato. A poco servirebbe spingere le sottoscrizioni dei fondi d’investimento con ulteriori incentivi fiscali perché il problema non sono gli sconti governativi, bensì la mancanza di disponibilità economiche. Lavoro precario e mal pagato in uno scenario di ritorno dell’inflazione non aiutano di certo in questo senso.

In altre parole se i giovani lavoratori non hanno abbastanza soldi, a fine mese poco resta da destinare alla previdenza complementare.

Vero che tali risorse provengono dal Tfr, ma a fronte di lavori precari e sottopagati, come detto, ha poco senso preoccuparsi del futuro quando anche il presente è molto incerto. Insomma, i giovani, sapendo che il posto fisso non esiste più, preferiscono tenersi stretto il Tfr da utilizzare come ammortizzatore sociale al momento opportuno.

Pensioni integrative, i giovani restano al palo

A rimarcare l’effettiva difficoltà dell’industria dei fondi pensione è un recente studio dell’Università La Sapienza di Roma che mette in discussione l’effettiva convenienza delle pensioni integrative in Italia. Secondo quanto emerso dagli studiosi, servono poco ai lavoratori che possono permettersele e sono invece troppo care per chi ne avrebbe effettivamente bisogno.

Allo studio universitario fa eco anche l’ultimo report Ambrosetti che mette in evidenza come non si possa sviluppare un mercato di fondi pensione robusto senza l’apporto dei giovani lavoratori. Purtroppo questi scontano un grosso vincolo di liquidità, oltre a un elevato livello di incertezza nel futuro determinato dalla precarietà del posto di lavoro. Nonostante abbiano magari conseguito titoli di studio importanti.

Pertanto appare inutile il pressing sul governo da parte dei signori della finanza e dai banchieri affinché si riducano ulteriormente le imposte sulle rendite delle pensioni integrative per incrementare le adesioni ai fondi. Anche il silenzio assenso non ha sortito quell risultato sperato.

Del resto, non ci sono i soldi da destinare al secondo pilastro con tutti i rischi connessi ai fondi pensione che non sono affatto da sottovalutare.

Le pensioni integrative servono a poco a chi se lo può permettere

Viceversa, le pensioni integrative servono a poco a chi se lo può permettere, si legge nel report de La Sapienza. O meglio, a un lavoratore con un posto di lavoro sicuro e ben retribuito a poco serve farsi una pensione complementare. Gli basterà quella dell’Inps che, nonostante il sistema di calcolo contributivo, sarà comunque adeguata e sufficiente per vivere.

Stando a quanto riferito dalla Ragioneria dello Stato, tra 45 anni l’importo netto della pensione di un ventenne di oggi sarebbe di circa due terzi rispetto all’ultimo stipendio. Un tasso di sostituzione che non si discosta molto da quanto è liquidato oggi dall’Inps con il sistema di calcolo misto delle rendite. Unica differenza è che, a parità di importo, la pensione sarà erogata più tardi rispetto a oggi.

I dati confermano questa tesi. Gli iscritti nel 2023 sono aumentai solo del 3%, a fronte di previsioni decisamente più ottimistiche. E le cose non stanno andando meglio nel 2024 nonostante la buona impostazione dei mercati finanziari globali che sono quelli che fanno salire o scendere i rendimenti dei fondi pensione.

Secondo i dati elaborati da BFF, nei primi tre mesi dell’anno i rendimenti dei fondi negoziali sono scesi dello 0,6%, mentre quelli degli aperti hanno perso lo 0,8%. Il calo è stato causato principalmente dalla performance negativa delle linee azionarie, che hanno registrato un passivo di circa il 2%. I comparti monetari e obbligazionari, invece, hanno contenuto le perdite, chiudendo il mese con un segno positivo.