Le pensioni troppo basse di importo sono una costante nel sistema previdenziale italiano. Ci sono pensionati che percepiscono prestazioni davvero modeste, a tal punto da renderle poco adatte a una vita dignitosa. Ecco quindi che lo Stato interviene con maggiorazioni e integrazioni per aumentare l’importo della prestazione. Molti lavoratori si chiedono però come si fa a ottenere una pensione più alta dal momento in cui il proprio bagaglio contributivo ne produce una bassa di importo e al di sotto della soglia minima prevista.

“Salve, sono Mario e ho lavorato quasi sempre part time con stipendi piuttosto bassi. Vorrei sapere cosa accadrà alla mia pensione futura. Avendo 20 anni di contributi e avendo iniziato a lavorare nel 1988, quando andrò in pensione a 67 anni non raggiungerò il trattamento minimo. Cosa accade? La mia pensione me la danno comunque? E poi, da conteggi fatti, arriverò a prendere 300 euro al mese circa. Secondo voi la mia pensione verrà integrata da bonus e somme aggiuntive per arrivare al minimo o prenderò sempre 300 euro al mese come mi spetta in base ai miei contributi?”

Come funzionano le regole del sistema previdenziale italiano per i trattamenti troppo bassi

Fu uno dei governi del compianto Silvio Berlusconi a portare le pensioni al milione delle vecchie lire. Parliamo del famoso incremento al milione, che tanto ha fatto sempre discutere. In questi mesi uno degli argomenti più gettonati dal punto di vista pensionistico è stata proprio la questione delle pensioni minime. Forza Italia ha tra i suoi cavalli di battaglia e le sue promesse elettorali, proprio l’aumento delle minime. Ma anche durante i summit tra governo e sindacato (soprattutto i vecchi incontri), si parlò di pensioni di garanzia. Segno indelebile che le istituzioni sanno bene che gli importi delle pensioni non sono certo alti nella stragrande maggioranza dei casi.

Ma a prescindere da tutte le ipotesi e tutte le proposte, una cosa da ribadire è che se una pensione in base ai contributi del lavoratore, è troppo bassa, ci pensa già lo Stato.

Con integrazioni al trattamento minimo e maggiorazioni che sono strumenti atti proprio a rendere più dignitosi i trattamenti. Perché se davvero al nostro lettore hanno “diagnosticato” una pensione di 300 euro al mese, la dignità non esiste.

Poco stipendio poca pensione futura

Lavorare part time o lavorare a stipendio troppo basso per la pensione futura è sempre deleterio. E a prescindere dalle regole di calcolo delle prestazioni. Perché è vero che con il metodo retributivo incidono gli stipendi degli ultimi anni di lavoro. Ma è anche vero che nel sistema contributivo, più alto è lo stipendio maggiori sono i contributi che si versano. Perché, per esempio, nel Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti, l’aliquota è del 33%. Significa che il 33% dello stipendio mensile è ciò che un lavoratore destina al suo trattamento pensionistico futuro.

Evidente che lavorare a orario ridotto, come per il nostro lettore, significa anche prendere uno stipendio non certo alto. E a cascata questo significa prendere in futuro una pensione bassa. Ma si tratta di una pensione bisognosa di ottenere le maggiorazioni e le integrazioni. Che al nostro lettore non mancheranno. Soprattutto perché è un lavoratore che nasce nel sistema retributivo avendo versato i primi contributi nel 1988. Infatti per chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995, non esistono maggiorazioni e integrazioni. Sono le regole del sistema contributivo.

Pensioni miste e integrazione al trattamento minimo INPS

Se il nostro lettore avesse iniziato a versare contributi dopo la fine del 1995, allora sì che la sua pensione sarebbe stata effettivamente di 300 euro. In primo luogo va detto al lettore che la pensione la prenderà comunque e a prescindere dall’importo. Tra l’altro il Governo con la legge di Bilancio ha deciso di eliminare anche per i contributivi il vincolo dell’importo minimo della prestazione.

Fino al 31 dicembre un lavoratore la cui carriera è cominciata dopo il 1995, per poter andare in pensione a 67 anni deve avere una pensione non inferiore a 1,5 volte il trattamento minimo. Dal 2024 non ci sarà più questo vincolo. Ma per i contributivi continuano le penalizzazioni dovute al fatto che una pensione troppo bassa non viene integrata al trattamento minimo. Cosa che per chi ha cominciato la carriera prima, non accade.

Cosa succede se il trattamento è troppo basso e al di sotto del minimo vitale

Il nostro lettore quindi ha diritto alla pensione con tanto di integrazione al trattamento minimo. Che nel 2024 sarà più alto di oggi, perché anche il trattamento minimo INPS viene indicizzato. Con la legge 638 del 1983 lo Stato ha voluto salvaguardare i pensionati al di sotto di un determinato livello reddituale e con pensioni al di sotto di un determinato importo. E lo ha fatto con l’istituto del trattamento minimo, ovvero quello strumento che consente al pensionato di avere una integrazione sulla pensione a prescindere dai suoi contributi. Quando la pensione è di importo basso e al di sotto del cosiddetto “minimo vitale”, la pensione viene integrata fino ad arrivare alla cifra che annualmente è quella stabilita dalla normativa vigente.

Importo della pensione e limite dei redditi, ecco le regole 2023

Naturalmente, come dicevamo, oltre alla pensione bassa il contribuente deve avere anche dei redditi bassi. Nel 2023 l’integrazione al trattamento minimo è pari a 572,20 euro al mese per tredici mensilità per chi ha meno di 75 anni. Infatti a vantaggio degli over 75 l’integrazione per loro è passata a 599,82 euro al mese per tredici mensilità. Per quanto riguarda i limiti di reddito, questi, sempre per il 2023 sono:

  • reddito personale del pensionato non superiore a 7.329 euro;
  • reddito cumulato con il coniuge non superiore a 21.986 euro.

L’integrazione è totale per i contribuenti che hanno redditi entro le cifre sopra riportate.

Ma si può godere anche di una integrazione parziale. In questo caso il limiti di reddito sono:

  • reddito personale del pensionato superiore a 7.329 euro e fino a 14.657 euro;
  • reddito cumulato con il coniuge superiore a 21.986 euro e fino a 29.314 euro.

Significa in definitiva che per chi ha redditi personali sopra 14.657 euro, o cumulati con il coniuge sopra 29.314 euro, non ha diritto all’integrazione. Il nostro lettore in futuro dovrà verificare i propri redditi, quelli cumulativi con la sua eventuale moglie e i limiti massimi di integrazione fruibile. Essendo ancora giovane e quindi non ancora pensionato, il calcolo non può essere fatto dal momento che parliamo di cifre che cambiano di anno in anno. Comunque per quanto detto in precedenza, la sua pensione ha diritto a essere integrata al trattamento minimo, sempre che egli rientri nei limiti di reddito sopra esposti.