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Che l’aspetto fisico incida sulla propria capacità di trovare lavoro non è scientificamente dimostrato. Certo è che molto dipende dal tipo di professione scelta. E, in alcune circostanze, è fuor di dubbio che la “bella presenza” sia fra i requisiti richiesti in vista di un colloquio. Anche se da qui all’essere bello sul serio ce ne passa…

Tali dettagli, perlopiù, si richiedono a coloro il cui impiego sarà destinato al continuo contatto diretto col pubblico. E che, per estensione, andrà a veicolare la buona immagine della società in fatto di imprinting con il cliente.

Fin qui (quasi) nulla di strano. Una procedura abbastanza standardizzata, che richiede sostanzialmente ai nuovi impiegati non di essere belli ma di dare un’impressione di professionalità sia nell’atteggiamento che nell’abbigliamento. Il problema è che, molto spesso, tali concetti sono suscettibili di fraintendimenti. Anche perché, a ben vedere, la “bella presenza”, se intesa come bellezza fisica, non potrà in ogni caso essere oggettiva.

Ben diverso il discorso sul modo di porsi nei confronti della clientela: cortesia, vestiario adeguato e disponibilità all’ascolto possono essere considerate qualità riconducibili alla “bella presenza”. O no?

Di problema in realtà ce n’è un altro. Ossia il riflesso psicologico che una persona dai lineamenti gradevoli o dal vestiario ricercato, comunque in grado di conferirgli un aspetto piacente, suscita su chi assume. Le persone che rispondono a tali “requisiti”, infatti, vengono percepiti quasi indirettamente come maggiormente affidabili, addirittura più intelligenti (almeno in media) e persino in migliori condizioni fisiche. In poche parole, potenzialmente più adatti a ricoprire un determinato ruolo. Con buona pace dei curriculum vitae, si potrebbe pensare.

È chiaro che il processo di assunzione poggia, in primis, sulle qualifiche del soggetto. E, in seconda battuta, sull’impressione che suscita in colui o colei che procede al colloquio.

Del resto, praticamente in ogni vademecum riferito al come presentarsi a un appuntamento con il responsabile della selezione del personale di qualunque azienda presupponga in primis un buon aspetto esteriore. Del resto, l’occhio vuole (da sempre) la sua parte. Ma non è tutto…

Chi è bello va in pensione prima? Perché l’aspetto fisico può essere un “criterio” di assunzione

Se è vero che la bellezza è un criterio inequivocabilmente soggettivo, l’attribuzione della qualifica di “bello” sarà ad appannaggio esclusivo di chi seleziona i profili da assumere. In questo senso, l’aiuto dato dall’aspetto fisico sarebbe relativo. Il discorso cambia, però, quando tale prerogativa viene effettivamente attribuita al candidato che, secondo un recente studio condotto da sociologi francesi, diventerebbe automaticamente più degno di fiducia.

In pratica, il vantaggio non sarebbe l’essere realmente belli (visto che per qualcun altro si potrebbe essere brutti) ma essere percepito come tale. Una componente pregiudiziale che scatterebbe indipendentemente dalla volontà o dal buonsenso ma che, semplicemente, si manifesterebbe in base alle nostre percezioni sensoriali. Un bel problema se l’obiettivo fosse quello di fare il bene dell’azienda per la quale si lavora. E questo perché l’attribuzione di una maggiore fiducia a chi è bello verrebbe fuori a prescindere dal lato comportamentale del candidato.

Per farla breve, sembra proprio che chi è bello, o meglio, che è considerato bello (o bella), fatichi meno a trovare lavoro. Anche in settori nei quali la bellezza esteriore non farebbe alcuna differenza ai fini pratici. E, di conseguenza, mantenere uno standard lavorativo tale da guadagnarsi la pensione con qualche anno di anticipo rispetto ai colleghi dal fascino minore. Ma è anche vero che il buon gusto nell’apparire sia da sempre il primo dato osservabile, prima ancora della valutazione del curriculum.

Basti pensare che la stragrande maggioranza degli addetti alle selezioni all’interno delle aziende prediligano il colloquio di persona.

O, in caso, su piattaforme in cui l’aspetto del candidato sia ben visibile. Niente di male in fondo: il contatto diretto con un potenziale collega è sempre buona norma, piuttosto che procedere con un reclutamento al buio. L’importante è che l’imprinting non diventi una discriminazione inconscia. Tanto più pericolosa perché inconsapevole. Del resto, un vecchio detto dice: “Meglio fortunati che bravi…”.

Riassumendo…

  • Secondo un recente studio sociologico, alle persone percepite di bell’aspetto si attribuirebbero inconsciamente delle qualità migliori;
  • la percezione della bellezza prevaricherebbe anche il lato comportamentale;
  • le persone considerate di aspetto esteriore migliore faticherebbero meno a trovare lavoro.