Quota 103 potrebbe avere i mesi contati. Anzi, è quasi certo. Le pensioni anticipate in Italia sono viste come il fumo negli occhi dai tecnocrati di Bruxelles che hanno ripreso a controllare le spesa previdenziale del nostro Paese. Non fosse per il debito pubblico record, non ci sarebbero preoccupazioni di sorta, ma in un contesto dove si sta per toccare la vetta dei 3.000 miliardi di euro, i controlli sono più che serrati.

Dalla Ragioneria Generale dello Stato fanno inoltre sapere che lo scempio perpetrato dal governo Conte I sull’introduzione di Quota 100 sta mandando in malora la sostenibilità della spesa Inps.

L’Istituto deve, infatti, sostenere quasi mezzo milione di pensionati in più che sono usciti dal lavoro a 62 anni di età. Al punto che a fine 2023 il patrimonio netto dell’Inps era negativo per 9,25 miliardi di euro. Quindi anche Quota 103 non può che risentirne negativamente.

Quota 103 scadrà a fine anno

I governi che si sono succeduto dopo quello giallo verde di Conte non hanno fatto altro che tentare di mettere una pezza allo sconquasso dei conti provocato da Quota 100. Con l’introduzione, dapprima di Quota 102 (in pensione a 64 anni di età con 38 di contributi) e poi con Quota 103 (in pensione a 62 anni con 38 di contributi). Il governo Draghi aveva poi messo il veto su riforme che non fossero sostenibili finanziariamente senza ricorrere a ulteriore debito.

Da quest’anno Quota 103 è diventata interamente contributiva per scoraggiare i lavoratori ad andare in pensione anticipata. E di fatto le domande all’Inps sono letteralmente crollate rispetto allo scorso anno quando hanno lasciato il lavoro in 23 mila a 62 anni di età. Il sistema di calcolo contributivo ne ha limitato fortemente l’appeal, al punto che questa deroga non avrà più senso tenerla in piedi nel 2025.

Cosa accadrà dopo è ancora presto per saperlo. Possibile che si torni integralmente e per tutti alle regole Fornero (vecchiaia a 67 anni o anticipata con 41-42 anni e 10 mesi di versamenti).

Per il resto le uscite anticipate saranno consentite solo ai lavoratori in condizioni di fragilità o disagio sociale. Anche a coloro che svolgono lavori gravosi e usuranti.

Quota 41, la riforma pensioni non si può fare

In questo contesto e per il dopo Quota 103 la Lega insiste per Quota 41, bella ma impossibile. L’uscita anticipata con 41 anni di contributi, benché col ricalcolo contributivo, peserebbe troppo sui conti pubblici. Non tanto per la spesa in sé di questa misura che costerebbe per i primi tre anni qualcosa come 8-9 miliardi di euro. Quanto per il fatto che l’equilibrio dei conti Inps è già precario da tempo.

Con le regole attuali – si legge nel documento di economia e finanza (Def) recentemente presentato dal governo – serviranno 18 miliardi di euro in più per sostenere la spesa pensionistica nel 2025. Malgrado il rallentamento dei pensionamenti nel 2023, l’effetto di Quota 100 (esperimento durato tre anni), insieme ai costi per l’indicizzazione delle pensioni all’inflazione, continua a farsi sentire sull’andamento della spesa previdenziale.

Questo significa una sola cosa: non ci sono possibilità per fare riforme per le pensioni in senso favorevole per i lavoratori. Il rischio – come sottolinea la Ragioneria dello Stato – è che si vada incontro a un dissesto finanziario pubblico di difficile gestione. Entro i prossimi 5 anni la spesa previdenziale è destinata a raggiungere il 17% del Pil, il che sarebbe pericoloso.

Pertanto Quota 41 non potrà essere promossa perché andrebbe a gravare su un sistema pensionistico già massacrato dalle deroghe pensionistiche attuate negli ultimi anni.

Riassumendo…

  • Poche domande di pensione per la nuova uscita anticipata con Quota 103
  • A fine anno la deroga uscirà di scena e si tornerà per tutti alla Fornero
  • Quota 41 è un progetto destinato a non vedere la luce