Come si andrà in pensione nel 2023? E’ questa la domanda ricorrente fra i lavoratori in attesa di conoscere le novità del governo Meloni. Un dubbio che probabilmente non verrà eliminato fino all’approvazione della legge di bilancio.

In ogni caso, si fa sempre più probabile l’ipotesi di rinvio della riforma pensioni di un anno. Per il 2023 è quasi certo che saranno prorogate Ape Sociale e Opzione Donna. Mentre Quota 102, in scadenza a dicembre, dovrebbe essere sostituita da Quota 103.

Quota 103 al posto di Quota 102, come funziona

Si eviterà in questo modo lo scalone con le regole Fornero, come avvenuto lo scorso anno dopo la fine di Quota 100.

Allora si parlava di quote, come adesso. Ma come funzionerebbe Quota 103?

Secondo i tecnici che avevano studiato la riforma pensioni già lo scorso anno sotto il governo Draghi, Quota 103 rappresenterebbe lo step successivo di Quota 102. Si opterà molto probabilmente per una combinazione di requisiti che prevede l’uscita con almeno 41 anni di contributi e 62 di età. Ma solo fino a fine 2023.

Quindi un ritocco più che una riforma, rinviata a tempi migliori. Del resto le esigenze di bilancio e le priorità conseguenti all’impennata dell’inflazione drenano risorse finanziarie. Non ultimo anche la necessità di rivalutare dal 2023 le pensioni in pagamento del 7,3%.

Ne consegue che Quota 103, come avvenuto per Quota 102, consentirà solo a poche migliaia di lavoratori di accedere alla pensione anticipata il prossimo anno. La combinazione di requisiti è stringente e rappresenta una strozzatura in uscita percorribile da pochi.

Riforma pensioni rinviata a tempi migliori

Per una vera e propria riforma pensioni bisognerà quindi attendere il 2024. Il tempo a disposizione del nuovo governo Meloni e le esigenze di bilancio non consentono, infatti, di stravolgere l’assetto pensionistico in tempi stretti.

Quota 103 potrebbe però diventare un punto di partenza dal 2024 e fino all’entrata a regime per tutti del sistema di calcolo contributivo delle pensioni.

Quindi, nel rispetto della flessibilità tanto invocata dall’Inps, si potrebbe arrivare a una combinazione di requisiti che porteranno a un numero più alto di pensionamenti.

41 anni di contributi indipendentemente dall’età non può diventare un vincolo in senso rigido come chiede la Lega o i sindacati. Ma un punto di partenza che, combinato all’età, consenta uscite flessibili perché ogni lavoratore ha carriere differenti da far valere.

L’allargamento della platea dei beneficiari potrebbe quindi essere estesa anche ai 60enni, purché abbiano alle spalle almeno 43 anni di contribuzione. Così come a coloro che raggiungeranno i 40 anni di contributi, ma avranno un’età di almeno 63 anni.