Dalle pensioni facili per tutti a quelle impossibili per molti. In 50 anni è cambiato tutto. L’Inps paga ancor oggi pensioni erogate con tanta allegria in passato. Sono quasi 400 mila i fortunati partecipanti alla cuccagna degli anni 70-80, usciti dal lavoro ancora prima di aver imparato un mestiere. Sono le baby pensioni, uno dei capitoli più vergognosi di cui l’Italia non può certo andare fiera.

Oggi, alla vigilia di dolorose riforme e di tagli alle pensioni, vale la pena ricordare che – secondo i dati ufficiali Inps – al 1 gennaio 2022 erano ben 399.686 le pensioni in pagamento da oltre 41 anni.

Una Quota 41 alla rovescia, se vogliamo. Dove non si va in pensione con 41 anni di contributi ma la si percepisce da 41 anni.

In pensione da 41 anni

Oggi per godersi una pensione per più di 40 anni bisognerebbe campare 108 anni. Traguardo probabilmente raggiungibile a fine secolo, ma poi non si uscirebbe più con la vecchiaia a 67 anni perchè salirà la speranza di vita. Quindi, impossibile da raggiungere.

Ma negli anni 70 e 80 concedere pensioni dopo pochi anni di lavoro era quasi normale. Eppure non eravamo tanto meno longevi di oggi. A quei tempi, però, tutto andava bene, il debito pubblico era gestibile e c’erano più lavoratori che pensionati. Non solo, in cambio di voti si sono spitattellate riforme da mandare in galera solo chi le aveva pensate perché avrebbero indebitato figli e nipoti. Come prontamente sta succedendo.

400 mila rendite senza contributi

A sottolineare la gravità della situazione è Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali nel decimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale Italiano. Lo studio riguarda tutte le gestioni previdenziali, da quelle pubbliche a quelle private, dagli anni 60 ai giorni nostri.

Dall’analisi salta fuori un quadro allarmante perché è del tutto evidente che chi ha lavorato pochi anni non può permettersi di godere di una pensione da 40 anni.

Ma nel sistema a ripartizione tutto è permesso e i costi sono finiti sulle spalle della collettività. Il disastro sulle pensioni di quei tempi è sotto gli occhi di tutti, fa notare Brambilla.

“Schiere di lavoratori mandati in quiescenza in età giovani in seguito a norme che, tra il 1965 e il 1997, hanno permesso a lavoratrici statali sposate e con figli di andare in pensione dopo 14 anni 6 mesi e 1 giorno di servizio utile”.

Ma per gli altri il diritto alla pensione scattava con 19 anni, 6 mesi e 1 giorno di lavoro. Grazie al riscatto della laurea, anche con soli 8 anni di contributi. Per i dipendenti degli enti locali, dopo 25 anni di lavoro. E questi sono solo i casi estremi. Le pensioni di anzianità fino al 1981 erano concesse al raggiungimento dei 50 anni di età.

Errori del passato che paghiamo oggi coi tagli. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti e hanno portato nel 2012 al varo della riforma Fornero, quale ultimo atto di una correzione dei conti che ormai erano andati fuori controllo. Non certo solo per le baby pensioni, ma anche a causa di queste che 12 anni fa erano più del doppio.