La riforma pensioni 2023 prende forma. Il governo intende agire nel senso di ridurre le diseguaglianze e ripristinare equità sociale agendo su fronti diversi.

Le novità in arrivo riguardano l’introduzione di Quota 103, la proroga di Ape Sociale e Opzione Donna con modifica del requisito anagrafico. Ma anche l’innalzamento delle pensioni minime e l’incentivo a restare al lavoro (ex bonus Maroni)

Pensioni minime aumentano di 45 euro al mese

Ci soffermiamo qui sugli ultimi due aspetti: l’innalzamento delle pensioni minime e il bonus del 10% per chi resta al lavoro dopo l’età pensionabile.

Due importanti passaggi che rendono l’idea di come intende muoversi Meloni.

Per quanto riguarda le pensioni integrate al trattamento minimo, si passerà dagli attuali 525 euro a 570 euro al mese dal 1 gennaio 2023. Ma la strada è quella di arrivare nel 2024 a 600 euro al mese. Non è ancora chiaro se gradualmente oppure no. Sarà il Parlamento a valutare come incrementare gli assegni in base anche alle disponibilità di bilancio.

Le risorse saranno recuperate dal ridimensionamento delle rivalutazioni delle pensioni nel 2023. Come noto, gli assegni saranno adeguati all’inflazione e riceveranno un incremento del 7,3%. Ma non tutte. Attualmente la legge prevede che le pensioni siano rivalutate al 100% solo fino a 4 volte l’importo del trattamento minimo. Invece, da 4 a 5 volte la perequazione automatica non è piena e scende al 90%. Mentre sopra le 5 volte, la rivalutazione scende al 75%.

In base al nuovo schema ministeriale, dal 2023 si dovrebbe partire da sei fasce di rivalutazione così preconfezionate:

  • 100% fino a 4 volte il trattamento minimo
  • 80% da 4 a 5 volte il trattamento minimo
  • 55% da 5 a 6 volte il trattamento minimo
  • 50% da 6 a 8 volte il trattamento minimo
  • 40% da 8 a 10 volte il trattamento minimo
  • 35% oltre le 10 volte il trattamento minimo

Ripristinato in bonus Maroni

Sul fronte pensionamenti, invece, il governo ripropone un bonus del 10% della retribuzione per chi rimane al lavoro ritardando l’accesso alla pensione (ex bonus Maroni).

Nello specifico si tratta di una decontribuzione del 10% per chi decide di rinviare l’uscita dal lavoro una volta raggiunti i requisiti ordinari per il pensionamento.

Nel caso dei lavoratori dipendenti lo stipendio dovrebbe crescere di una quota pari a quella dei contributi a suo carico (9,19%) che non sarebbero più versati all’Inps. Il lavoratore di ritroverà quindi una busta paga più alta

In questo caso la pensione rimarrà quella maturata al momento del raggiungimento dei requisiti per l’uscita. Il diritto si cristallizza e in qualsiasi momento il lavoratore potrà decidere di accedervi.