Quote pensioni verso il tramonto. Sarà il 2023 l’ultimo anno, con Quota 103 che andrà ad esaurirsi il 31 dicembre. Poi tutto dovrà cambiare in senso strutturale senza il bisogno di dover correre ogni vola a tappare i buchi.

Questo, in sostanza, il messaggio che il Ministro del Lavoro Marina Calderone, nel corso di un’audizione al Senato, ha voluto mandare ai lavoratori. Annunciando le linee guida della prossima riforma pensioni. Allo scopo è stato fissato anche un primo appuntamento con i sindacati il 19 gennaio 2023 per gettare le basi della riforma 2024.

La riforma pensioni che verrà

Calderone parla di una riforma pensioni solidale e sostenibile. Cosa significa? Per usare le parole del ministro si tratterebbe di:

un sistema di forme di pensionamento integrate che consenta di individuare l’accesso a pensione più compatibile con le esigenze personali e sanitarie del lavoratore e al contempo di ricambio generazionale dei datori di lavoro.

In altre parole si tratta di implementare un sistema in grado di prevedere delle opzioni di pensionamento maggiormente “compatibili con esigenze personali e sanitarie dei lavoratori“, per favorire anche un adeguato ricambio generazionale.

Si punta, in questo senso, su una maggiore flessibilità in uscita dei lavoratori in base a quanto già previsto per Ape Sociale con prepensionamento per particolari categoria di lavoratori disagiati o gravosi.

Futuro incerto per i giovani

E per i giovani? Il futuro resta incerto, come sempre, ma Calderone ha intenzione di renderlo meno rischioso dal punto di vista previdenziale. Le misure sperimentali finora adottate non hanno, infatti, dato alcuna speranza per loro, nonostante i governi precedenti abbiano sempre manifestato preoccupazione.

Di certo per loro la strada previdenziale è già tracciata dalle riforme precedenti e la pensione di vecchiaia non è detto che arrivi a 67 anni. In base alla riforma Fornero, l’età si allungherà in relazione alla aspettativa di vita.

E, per molti, il traguardo potrebbe arrivare anche a 71 anni di età.

Ma ci saranno anche meno garanzie economiche. Attualmente la pensione minima per i giovani lavoratori è un sogno. Spetta infatti solo a chi può vantare contributi versati prima del 1996, cioè a coloro che non sono più giovani e sono nati negli anni 60 e 70. Quindi pensioni da fame se non si potrà godere di una carriera piena e ininterrotta.

Serviranno quindi interventi mirati affinché anche chi è rimarrà indietro coi versamenti contributivi possa contare su un sostegno pubblico. Una pensione minima di garanzia che potrebbe arrivare dal potenziamento della pensione di cittadinanza, una volta terminato il meccanismo dell’integrazione al trattamento minimo.