Quota 41 sembra diventata il tormentone estivo della prossima riforma pensioni. Lo chiede con insistenza la Lega, alla quale – ricordiamo – non si può perdonare l’errore di Quota 100 sotto il governo Conte I. Ragion per cui non sarà facile trovare una soluzione politica e di sostenibilità finanziaria che accontenti Salvini e i lavoratori per andare in pensione con 41 anni di contributi senza vincoli di età.

Le previsioni di spesa dell’Inps non sono promettenti e ulteriori inevitabili tagli dovranno essere attuati per contenere l’aumento della spesa pensionistica.

Benché Quota 100 non esista più, l’impatto sui conti previdenziali avrà ripercussioni nel lungo periodo. Da qui al 2040, infatti, la spesa crescerà fino a superare il 17% del Pil. Quindi altre uscite anticipate non possono più essere prese in considerazione dal governo. Oltretutto Bruxelles ha avviato una procedura di infrazione sui conti pubblici italiani che non potrà essere disattesa al momento della discussione della legge di bilancio 2025.

Quota 41, una riforma pensioni che non ha senso

Ma che Quota 41 sia un mero slogan politico messo in piedi per far vedere lucciole per lanterne è abbastanza evidente per chi conosce la materia. Lasciare il lavoro con 41 anni di contributi a prescindere dall’età avrebbe un impatto di oltre 3 miliardi di euro in più all’anno sulla spesa pensionistica attuale (già altissima). La platea dei beneficiari dal 2025 sarebbe di circa 100 mila persone. Troppe per concedere liberamente l’uscita senza vincoli di età.

Così si pensa di disincentivare i lavoratori introducendo il sistema di calcolo contributivo, come avviene oggi per Quota 103 (in pensione sempre con 41 anni di contributi ma con almeno 62 anni di età). Ma non avrebbe senso. L’assegno risulterebbe tagliato del 15-20% fino all’età della pensione di vecchiaia (oggi a 67 anni). Tanto vale tenere in piedi Quota 103 a questo punto, anche se non funziona più. Ma la politica, si sa, ragiona in base altri meccanismi che non sono quelli della logica comune, ma del mantenimento del consenso.

Così si rischia di fare l’ennesima porcheria. Cioè una riforma per far vedere che si cambia il sistema, ma che, a tutti gli effetti, non porta a nulla di concreto. Un lavoratore con 41 anni di contributi difficilmente accetterà di andare in pensione con una pesante riduzione dell’assegno sapendo che se aspetta 10 o 22 mesi in più otterrà quanto di diritto e anche una rendita più alta.

La pensione anticipata a 41 anni esiste già

Oggi, in base alle regole Fornero, si può andare in pensione anticipata già con 41 anni e 10 mesi senza vincoli di età e con il calcolo misto della pensione. Questo vale per le donne, mentre per gli uomini servono 42 anni e 10 mesi. Quindi Quota 41 diventerebbe una riforma inutile, perché nessuno sfrutterà un’opzione così penalizzante sapendo che, con qualche mese di lavoro in più, potrà sfruttare un canale migliore e già esistente.

C’è poi da considerare il fatto che – secondo indiscrezioni tecniche – il ricalcolo contributivo non sarà l’unica forma disincentivante per Quota 41. La riforma prevede anche un tetto massimo dell’assegno sulla falsariga di quanto già avviene per Quota 103. Il cui importo limite è pari a 4 volte il valore del trattamento minimo fino a 67 anni di età.

Per Quota 41 questo limite sarebbe addirittura la metà, secondo le simulazioni di calcolo dell’Osservatorio della spesa previdenziale istituito nel 2023 presso il Ministero del Lavoro. Anche perché sarà necessario limitare al massimo l’accesso alla pensione anticipata a 100 mila potenziali beneficiari dal 2025. Per non parlare della finestra mobile che potrebbe eguagliare quanto già previsto per Quota 103. E cioè 7 mesi per i lavoratori privati e 9 mesi per i dipendenti della pubblica amministrazione.

Riassumendo…

  • Quota 41 per tutti è una riforma pensioni che non risolve nulla.
  • L’opzione sarà troppo penalizzante e quasi nessuno potrà trarne vantaggio.
  • Ricalcolo contributivo, tetto massimo e finestra mobile lunga scoraggeranno le uscite anticipate.