La pensione integrativa conviene? Il calcolo pensione che conviene fare è sull’integrativa o sull’ordinaria?
Come riportato in questi giorni anche dalla grande stampa specializzata, uno studio recente dell’Università La Sapienza di Roma ha sollevato dubbi significativi sull’efficacia delle pensioni integrative.

La ricerca ha evidenziato che questi strumenti finanziari risultano poco utili per chi può permetterseli e troppo costosi per coloro che ne avrebbero realmente bisogno. La questione della convenienza delle pensioni integrative è complessa e merita un’analisi approfondita, specialmente alla luce dei dati forniti dalla Ragioneria dello Stato.

Secondo lo studio de La Sapienza, i lavoratori con una carriera stabile e retribuzioni dignitose potrebbero ottenere una pensione adeguata con il sistema previdenziale attuale. In questo scenario, investire in una pensione integrativa potrebbe non essere vantaggioso per loro. I precari, al contrario, potrebbero trarre beneficio da una previdenza privata, ma sono spesso esclusi da questa opportunità a causa dei costi elevati.

Pensione che conviene: implicazioni fiscali della previdenza integrativa

Rimanendo nell’ambito del calcolo pensione che conviene, la Sapienza ha anche messo in discussione le agevolazioni fiscali associate alla previdenza integrativa, sottolineando che il loro impatto sui conti pubblici è significativo. Si stima infatti una perdita di entrate pari a 2,5 miliardi di euro annui. Inoltre, l’efficacia di queste agevolazioni nel raggiungere chi realmente necessiterebbe di una pensione integrativa è dubbia.

In merito, invece, al rapporto della Ragioneria generale dello Stato fornisce uno scenario futuro per le pensioni. Senza una forma di previdenza integrativa, un ventenne di oggi riceverebbe, tra 45 anni, una pensione netta che rappresenterebbe solo il 66% dell’ultimo stipendio per i lavoratori dipendenti privati e il 67% dell’ultimo reddito per i lavoratori autonomi. Con l’adozione della previdenza complementare, i tassi di sostituzione migliorerebbero notevolmente.

L’incremento dei tassi di sostituzione

Il tasso di sostituzione è la percentuale che confronta l’importo della prima annualità completa della pensione con l’ultimo reddito annuo completo guadagnato prima del pensionamento.

Questo tasso può essere determinato sia considerando i valori lordi, ovvero prima delle imposte, sia i valori netti, cioè dopo la detrazione delle tasse, sia per la pensione che per il reddito.

Come riporta anche la stampa specializzata, secondo il rapporto dei tecnici del MEF, per i lavoratori dipendenti privati, il tasso di sostituzione lordo aumenterebbe del 7,7% nel 2030, del 9,3% nel 2040 e del 7,7% nel 2070 grazie alla previdenza integrativa. Per i lavoratori autonomi, le percentuali di crescita sarebbero del 7,7% nel 2030, del 10,2% nel 2040 e dell’8,5% nel 2070. Senza l’apporto della previdenza integrativa, i decrementi al lordo della tassazione sarebbero rispettivamente di 14,8 punti percentuali per i dipendenti privati e di 25,1 punti percentuali per gli autonomi.

Anche i tassi di sostituzione netti riflettono l’importanza della previdenza integrativa. Per i dipendenti privati, nel 2070 il tasso di sostituzione netto raggiungerebbe il 76,5% con la previdenza integrativa, rispetto al 66,3% della sola previdenza obbligatoria. Per gli autonomi, le percentuali corrispondenti sarebbero 85% con previdenza integrativa e 67,7% senza.

Le considerazioni da fare

Alla luce di questi dati, la questione del “calcolo pensione che conviene” rimane complessa. Da un lato, le pensioni integrative possono sembrare meno utili per i lavoratori stabili e più onerose per i precari. Dall’altro, le proiezioni a lungo termine della Ragioneria dello Stato indicano che senza una forma integrativa, i futuri pensionati potrebbero affrontare una significativa riduzione del loro reddito.

La previdenza integrativa rappresenta un tema cruciale nel dibattito sulla sostenibilità del sistema pensionistico. Mentre per alcuni lavoratori l’investimento in una pensione integrativa potrebbe non essere necessario, per altri potrebbe fare la differenza tra una pensione adeguata e una insufficiente. Tuttavia, il costo elevato e l’accesso limitato per i lavoratori precari costituiscono ostacoli significativi.

È essenziale quindi continuare a monitorare e valutare le politiche di previdenza integrativa per garantire che siano efficienti ed eque, assicurando un supporto adeguato a chi ne ha veramente bisogno e migliorando la sostenibilità complessiva del sistema pensionistico.

Calcolo pensione che conviene: riflessioni per il futuro

La discussione sul “calcolo pensione che conviene” non si esaurisce qui. È fondamentale che le politiche previdenziali siano adattate in base alle esigenze di una forza lavoro in continua evoluzione. Gli studi e le proiezioni devono essere utilizzati per creare un sistema che non solo promuova la sicurezza finanziaria, ma che sia anche accessibile a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro situazione economica.

In conclusione, la previdenza integrativa deve essere vista come uno strumento potenzialmente utile, ma con la consapevolezza che la sua efficacia dipende da molteplici fattori, tra cui la stabilità del lavoro, il livello di reddito e l’accesso a risorse adeguate. Solo attraverso un’analisi critica e un approccio mirato si potrà garantire una pensione che conviene veramente a tutti.

Riassumendo…

  • studio La Sapienza: pensioni integrative poco utili per lavoratori stabili, costose per precari
  • agevolazioni fiscali delle pensioni integrative costano 2,5 miliardi annui ai conti pubblici
  • senza previdenza integrativa, pensioni future saranno circa il 66-67% dell’ultimo reddito
  • previdenza integrativa aumenta tassi di sostituzione per lavoratori dipendenti e autonomi nel lungo termine
  • tassi di sostituzione netti migliorano significativamente con previdenza integrativa rispetto alla sola obbligatoria
  • necessità di politiche previdenziali eque e accessibili per tutti i lavoratori.