Lavorare in smart working oggi è una pratica molto diffusa in tutti gli ambienti lavoratovi. Dal pubblico al privato. Questa modalità si è accentuata ancor più nel periodo della pandemia Covid-19. Anzi in quel periodo fu imposto l’obbligo per le aziende di ricorrere a tale strada. Una misura per evitare i contatti tra i lavoratori e le persone e, quindi, contenere la diffusione del virus.

Dopo la pandemia, comunque, lo smart working continua ad essere utilizzato da molti datori di lavoro.

Permette un taglio di costi non indifferenti (mensa aziendale, utenze, ecc.). Anche per il lavoratore c’è l’aspetto positivo. Lavorare da casa o in qualsiasi altro posto concede maggiore libertà di gestione della propria giornata lavorativa e non.

Molti addirittura ne hanno approfittato anche per andarsene all’estero per brevi o lunghi soggiorni. Tanto, o lavorare dalla propria casa in Italia o farlo in un posto fuori dal territorio nazionale, l’importante per l’azienda è che il lavoratore “fatica”.

Proprio lo smart working dall’estero per un’azienda italiana è l’oggetto del quesito giunto in redazione. In dettaglio, il lettore ci fa presente che lavora prettamente in smart working dall’estero ormai da 1 anno. Questi dice che vive in casa in affitto e che l’azienda si trova qui in Italia. Inoltre ha la residenza ancora nel nostro Paese. Vuole, dunque, sapere se le tasse sul reddito dal lavoro le deve pagare in Italia o deve fare la dichiarazione redditi all’estero.

La residenza fiscale

Per rispondere al lettore, è doveroso soffermarsi sul concetto di residenza fiscale e non di residenza anagrafica. Il contribuente paga le tasse in Italia sul reddito da lavoro se ha la residenza fiscale nel nostro paese.

A tal fine, la legge sulla residenza fiscale (art. 2 comma 2 del TUIR) dice che considerano residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile):

  • sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;
  • hanno nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio;
  • hanno nel territorio dello Stato italiano la propria residenza.

Tali condizioni sono tra loro alternative.

Quindi, basta che per almeno 183 giorni (ovvero 184 giorni) dell’anno, sia soddisfatto almeno uno dei 3 predetti punti. A tal fine è anche possibile chiede il certificato di residenza fiscale all’Agenzia Entrate.

Il lavoro smart working, il trattamento fiscale

Venendo al quesito, nei chiarimenti sul trattamento fiscale smart working (Circolare n. 25/E del 2023) l’Agenzia Entrate ha precisato che:

“i criteri di radicamento della residenza fiscale delle persone fisiche restano quelli previsti dall’articolo 2 del TUIR”.

Questo sta significando che le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa non incidono sui criteri di determinazione della residenza fiscale. Pertanto, il lettore, se rispettati tutti i predetti requisiti, può considerarsi fiscalmente residente in Italia e pagherà qui le tasse su reddito da lavoro dipendente anche se lavora da remoto dall’estero.

Riassumendo…

  • si considera fiscalmente residente in Italia, e quindi paga qui le imposte, la persona fisica che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile), rispetti una delle seguenti condizioni:
    • è iscritta nelle anagrafi della popolazione residente
    • ha nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio
    • ha nel territorio dello Stato italiano la propria residenza
  • questo concetto non subisce modifica anche nel caso di lavoro in smart working.