Per i dipendenti della PA lo smart working sarà obbligatorio al 50% fino al 31 dicembre 2020. Poi si vedrà, ma non è escluso che possa diventare definitivo.

Tutto dipenderà dall’evoluzione dell’emergenza sanitaria, ma anche dai costi per i servizi pubblici. Lo smart working si è infatti rivelato uno strumento utile a tagliare drasticamente i costi della pubblica amministrazione e, al contempo, incrementare la produttività.

Dipendenti PA in smart working al 50% fino al 31 dicembre

Come previsto dal Dl Rilancio, convertito in legge, la metà del personale della PA potrà eseguire il proprio lavoro comodamente da casa.

Tuttavia la presenza dovrà essere assicurata in base a un criterio di rotazione del personale che lavorerà così un po’ da remoto e un po’ sul posto di lavoro tradizionale. Come dichiarato dalla ministra della Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone, ”gli uffici pubblici hanno già previsto dei reingressi con delle turnazioni e con delle fasi di accesso che sono scaglionate per tutelare la sicurezza sia per chi accede agli uffici pubblici che dei lavoratori, che devono comunque continuare a mantenere il distanziamento. Durante la fase del lockdown per continuare a garantire i servizi siamo passati dalla sperimentazione del lavoro agile ad un lavoro agile a regime – spiega Dadone – Ora si tratta, invece, di portare il lavoro agile, come il co-working o come la rotazione all’interno degli uffici, tra qui e fine anno al 50%”.

Tutti i vantaggi per le amministrazioni

Lo smart working interessa in particolare tutti quei lavori impiegatizi per cui non è richiesta la presenza in ufficio e che per il loro svolgimento necessitano solo di un computer, una linea internet e un telefono. E’ dimostrato che durante il periodo di emergenza, lo smart working si è rivelato strumento più efficace ed è aumentata la produttività dei dipendenti. Le amministrazioni, d’altro canto, hanno potuto registrare notevoli risparmi di spesa su tutti i fronti.

Anche l’assenteismo (ferie, permessi, malattie) è crollato vertiginosamente. Anche gli episodi di mobbing denunciati sono incredibilmente crollati. Un successo, quello del lavoro agile, che i datori di lavoro privato stanno assaporando con entusiasmo e che di certo non rinunceranno anche se quando il coronavirus sarà definitivamente sconfitto.

Quali professioni sono più adatte allo smart working

Possono essere svolte da remoto in condizioni ordinarie soprattutto le professioni nei comparti dell’informazione e comunicazione, delle attività finanziarie e assicurative e dei servizi alle imprese (con quote tra il 60% e il 90%). Nel 2019, il lavoro da casa in questi tre settori ha interessato una quota relativamente alta di occupati (rispettivamente 19,8%, 10,9% e 22,1%). Nei servizi generali della P.A., il 56,5% potrebbe sperimentare il lavoro a distanza ma nel 2019 lo ha effettivamente utilizzato solo il 2,7%. Il lavoro da casa è un’opportunità ma c’è il rischio che il confine tra tempi di lavoro e tempi di vita diventi labile, osserva l’Istat. Circa il 40% di chi lavora da casa (luogo principale o secondario) dichiara di essere stato contattato fuori dell’orario di lavoro almeno tre volte da superiori o colleghi nei due mesi precedenti; la quota arriva quasi al 50% tra chi usa la casa come luogo di lavoro occasionale. Una risposta tempestiva, anche se fuori dell’orario di lavoro, è stata richiesta al 26,1 e al 20,9% di chi lavora a casa come luogo principale e secondario e al 33% di chi lavora a casa occasionalmente.

Istat: stima 8,2 milioni di lavoratori in smart working

Gli occupati che potenzialmente potrebbero svolgere il loro lavoro da casa, sia nel settore pubblico che privato,  sono circa 8,2 milioni (35,7% degli occupati) e di questi circa 1 milione (solo il 12,1%) ha concretamente sperimentato questa possibilità nel corso del 2019. E’ quanto emerge dal Rapporto annuale 2020 dell’Istat. Escludendo alcune professioni per le quali si può considerare che il lavoro da remoto sia preferibile solo in situazioni di emergenza, come ad esempio gli insegnanti nei cicli di istruzione primaria e secondaria, si individuerebbero circa 7 milioni di occupati che potrebbero lavorare a distanza: 4,1 milioni tra le professioni che richiedono supervisione e 2 milioni tra quelle ad elevata autonomia.

Il lavoro da remoto potrebbe riguardare più le occupate (37,9% contro 33,4% degli occupati), gli ultracinquantenni (37,6% contro 29,5% dei giovani occupati), il Centro-nord (37% contro 28,8% del Mezzogiorno), i laureati (64,2%).

 

Vedi anche: Dai furbetti del cartellino a quelli dello smart working