Cresce la spesa per le pensioni per donne e uomini in Italia. Soprattutto nel settore pubblico. Nonostante la frenata dovuta ai tagli dei trattamenti anticipati in deroga, l’importo che l’Inps eroga ogni mese ai pensionati statali sfiora i 7 miliardi di euro per una cifra complessiva di 90 miliardi all’anno. A pesare sui conti è soprattutto l’inflazione i cui effetti non mancheranno di farsi sentire anche oltre il 2024.

Le nuove pensioni liquidate al 1 gennaio 2024 sono quindi scese del 9,8% rispetto a un anno fa, ma la spesa è salita.

E gli assegni medi pagati dall’Inps sono ancora leggeri. La metà degli statali non arriva a 2.000 euro al mese, il 40% circa è compreso fra 1.000 e 2.000 euro, mentre il resto viaggia sotto i 1.000. Oltre il 37% si colloca fra i 2.000 e 3.000 euro, mentre quasi il 13% supera i 3.000 euro al mese. Tutti importi lordi e non assistiti.

Le pensioni delle donne sono più basse di quelle degli uomini

Nel complesso emerge ancora una volta il divario enorme fra pensioni maschili e pensioni femminili. Come se ci fosse un’ingiustizia alla base dei calcoli, ma che in realtà non esiste perché le pensioni sono calcolate per tutti nella stessa maniera. Numericamente le pensioni delle donne sono anche di più rispetto a quelle degli uomini (59,7% contro il 40,3%) riflettendo una tendenza analoga a quella del settore privato. Anche perché i trattamenti ai superstiti sono più femminili che maschili con un rapporto di quasi 5 a 1.

Il gap degli importi delle pensioni pubbliche riguarda tutte le fasce reddituali, ma in particolare quelle medio-alte. Statisticamente quasi un quarto degli assegni erogati agli uomini è pari o superiore a 3 mila euro al mese, cifra che si riscontra invece solo nel 5% degli assegni erogati alle donne. Quindi, un uomo ogni quattro contro una donna ogni venti. Divario che si riduce scendendo di livello, ma che comunque persiste da anni.

Perché le pensioni delle donne sono più basse

Poiché i dati statistici sono interpretati nel loro insieme senza particolare distinzione, il fattore principale che determina il gender gap femminile, tanto nel pubblico come nel privato, è un altro. Vale a dire, la pensione ai superstiti. II numero dei trattamenti di reversibilità a favore delle vedove è cinque volte superiore rispetto a quello dei vedovi.

Poiché l’assegno in questi casi è ridotto almeno del 40%, risulta del tutto evidente che l’importo è più basso rispetto a quello degli uomini. La media ponderata degli assegni è quindi “viziata”, se così si può dire, anche da questo fattore di cui spesso non si teine conto. Poi c’è anche Opzione Donna che pesa.

Se la forbice fra pensioni maschili e femminili si è allargata molto negli ultimi 10 anni è anche a causa del pensionamento anticipato previsto da Opzione Donna. Questa prerogativa, riservata alle lavoratrici dipendenti e autonome, prevedeva fino a due anni fa l’accesso alla pensione a 58 anni (oggi ce ne vogliono 61) con almeno 35 di contributi con il sistema di calcolo interamente contributivo.

L’importo medio delle pensioni femminili, in questo caso, raggiunge a malapena i 900 euro al mese. Cifra che fa scendere notevolmente la media dei trattamenti erogati a favore delle donne. Ne scaturisce una lettura dei dati completamente sbilanciata verso il sesso maschile che, al contrario, non ha mai avuto le stesse possibilità di uscita anticipata.

Da una attenta analisi, infine, emerge che le donne percepiscono un maggior numero di pensioni pro capite, in media 1,51 prestazioni a testa, a fronte dell’1,32 degli uomini. Rappresentano infatti il 58,6% dei titolari di 2 pensioni, il 68,6% dei titolari di 3 pensioni e il 70,5% dei percettori di 4 e più trattamenti.

Riassumendo…

  • La pensione media degli statali vale più di 2.000 euro al mese.
  • Le donne sono le maggiori beneficiarie, ma percepiscono assegno molto più bassi.
  • Il gap dipende molto dalle pensioni di reversibilità e da Opzione Donna.