Nulla di nuovo sul fronte pensioni dal decreto lavoro. Se si tira la coperta da una parte, si accorcia dall’altra. Con l’approvazione del provvedimento governativo del 1 maggio è stata varata la riforma che taglia il cuneo fiscale per i lavoratori. Un intervento che permetterà loro di ricevere più soldi in busta paga da luglio.

Più esattamente ci sarà un esonero contributivo del 7% per i lavoratori subordinati con reddito fino a 25 mila euro. Esonero che scende al 6% per i lavoratori subordinati con reddito fino a 35 mila euro.

A ciò si aggiunge anche il ritorno alla soglia di 3 mila euro per i fringe benefits per i dipendenti con figli a carico.

Il taglio del cuneo fiscale: cosa significa per le pensioni

Il decreto lavoro non contiene, invece, alcuna misura per le pensioni. In particolare, il ministro del Lavoro Elvira Calderone aveva fatto capire che si sarebbe fatto qualcosa per i redditi più bassi in maniera tale da difendere il potere di acquisto dei pensionati. Ma, alla fine, nulla è saltato fuori dal Consiglio dei Ministri.

Nessun intervento, quindi, su Opzione Donna, fortemente ristretta a poche lavoratrici, e nemmeno per le pensioni minime. Del resto il documento di economia e finanza (Def) approvato dal Governo sulla situazione finanziaria e sulle ipotesi di utilizzo delle risorse disponibili non prevedeva interventi sulle pensioni.

Quindi era prevedibile l’assenza di modifiche alle pensioni, visto che le risorse dello scostamento di bilancio sono destinate interamente al taglio contributivo e al taglio delle tasse per i lavoratori. Non è detto, tuttavia, che dopo l’estate si torni a prendere in esame il capitolo pensioni.

L’inflazione frena la riforma delle pensioni

A pesare sui piani del governo c’è anche l’inflazione che non accenna a scendere. E quindi il costo che bisognerà sostenere per adeguare le rendite al carovita a fronte di un debito pubblico che continua a salire mostruosamente senza freni.

I margini di manovra sono quindi sempre più ristretti e fatti più da tagli che da ammorbidimenti.

Dati alla mano, nel 2021 il conto nazionale delle pensioni pagate dall’Inps è aumentato dell’1,5%, portandosi a quota 238,27 miliardi di euro. Con previsione di sfondare la soglia dei 250 miliardi nel 2025, se non prima, raggiungendo in percentuale il 16,4% del Pil. Non solo, il contesto sociale è in declino per via del calo demografico che minaccia alla base la capacità di contribuzione al sistema.

Al punto Moody’s, una delle tre principali agenzie di rating, starebbe per declassare il debito pubblico (record) italiano a livello di spazzatura. Aggiungere, quindi, altre spese al capitolo pensioni sarebbe come buttare benzina sul fuoco e alimentare un incendio che sembra non fermarsi più. Ci vorrebbero, infatti, altri 9 miliardi di euro all’anno per sostenere Quota 41.