In Italia, il sistema pensionistico permette di andare in pensione con pochi contributi. Questo meccanismo, noto come pensione di vecchiaia, è al centro delle discussioni per una riforma imminente.

Oggi, la pensione di vecchiaia in Italia richiede generalmente 20 anni di contributi, con l’età minima fissata a 67 anni. Questa modalità rappresenta una via d’uscita per coloro che hanno accumulato pochi anni di contributi durante la loro carriera lavorativa. In alcuni casi particolari, sono sufficienti anche 15 anni di contributi per ottenere la pensione.

Volendo dare qualche dato, alla fine del 2023, la pensione vecchiaia con pochi anni di contributi ha registrato un flusso annuo di circa 265 mila nuovi trattamenti, con un totale di 4,85 milioni di posizioni in essere. Di queste, 2,4 milioni, quasi il 50%, sono integrate al minimo. Inoltre, almeno la metà di questi beneficiari riceve anche una maggiorazione sociale, con oltre 1,2 milioni di maggiorazioni sociali erogate.

Come potrebbe cambiare la pensione di vecchiaia

La possibile riforma della pensione con pochi contributi (pensione vecchiaia) vedrebbe scendere in campo la nuova Quota 92. Un sistema di pensionamento che andrebbe a prevedere un innalzamento del requisito contributivo a 25 anni. Questo cambiamento sarebbe una risposta all’aumento dell’aspettativa di vita e alle necessità di adeguamento del sistema pensionistico. La riforma mira a stabilizzare il sistema rendendo più sostenibile il bilancio pensionistico.

Allo stesso tempo verrebbe anche prevista una finestra di flessibilità Fermo restando la necessità dei 25 anni di contributi, Si lascerebbe scegliere di uscire già a 63 anni ovvero di continuare anche dopo i 67 anni e fino a 71 anni. Chi uscirebbe prima dei 67 anni vedrebbe, tuttavia, l’assegno mensile più basso rispetto a coloro che uscirebbero dal mondo del lavoro a 67 anni o dopo.

Pensione con pochi contributi? Più difficile con la riforma

Molti di coloro che, oggi, riescono ad andare in pensione con pochi contributi, non raggiungono il minimo contributivo di 20 anni effettivi.

Mediamente, includendo periodi di disoccupazione, malattia e altri contributi figurativi, essi hanno versato solo 15 anni di contributi reali. E se non fosse per i contributi figurativi non si raggiungerebbe il minimo dei 20 anni. Questi contributi sono fondamentali per raggiungere il minimo contributivo richiesto, ma non sempre sono sufficienti per garantire una pensione adeguata.

La riforma che alzerebbe il minimo a 25 anni di contributi potrebbe, quindi, impattare una larga fetta della popolazione, rendendo più difficile l’accesso alla pensione per coloro che non hanno carriere lavorative stabili.

All’idea di modificare i requisiti per la pensione vecchiaia, si affiancherebbe anche quella di aumentare l’età pensionabile in linea con l’aspettativa di vita. Attualmente, l’età minima è fissata a 67 anni, ma con l’aumento dell’aspettativa di vita, potrebbe essere necessario innalzare ulteriormente questa soglia per garantire la sostenibilità del sistema. E la previsione di quella finestra tra i 63 e i 71 anni potrebbe rappresentare una soluzione.

Riassumendo

  • In Italia, oggi si può andare in pensione con pochi anni di contributi (c.d. pensione vecchiaia). Servono 67 anni con 20 anni di contributi (in alcuni casi ne bastano 15).
  • La possibile riforma Quota 92 aumenterebbe i contributi minimi a 25 anni.
  • Attualmente, 2,4 milioni di pensioni sono integrate al minimo e ricevono maggiorazioni sociali.
  • Molti pensionati non raggiungono 20 anni di contributi effettivi, utilizzando contributi figurativi.
  • La riforma potrebbe aumentare l’età pensionabile in linea con l’aspettativa di vita.