Ormai ogni giorno che passa sempre meno sono le possibilità che il governo arrivi davvero a varare una vera riforma delle pensioni. Infatti per questioni di cassa e per scarsità delle risorse qualsiasi ipotesi di vera riforma della previdenza sociale italiana verrà rimandata a data da destinarsi. Il sistema quindi resterà praticamente inalterato, magari ritoccando qualcosa delle misure già oggi in vigore che probabilmente verranno confermate e prorogate l’anno venturo. Parliamo di quota 103, Opzione Donna e dell’Ape sociale.

Proroghe e riforme, e per quest’ultima misura si apre alla possibilità che nuovi lavori vengono considerati gravosi. A tal punto da consentire il pensionamento a 63 anni di età.

Cosa si ipotizza per la pensione a 63 anni di età

In pensione a partire dai 63 anni di età proprio come l’Ape sociale prevede dal 2017, anno del suo varo. Ma davvero i lavoratori vorrebbero questo? L’Ape sociale per il solo fatto che è destinata a determinate categorie di lavoratori è una delle misure che più è assoggettata a critiche perché probabilmente abbastanza discriminatoria.

“Buonasera, mi chiamo Claudio e sono un vostro affezionato lettore ormai da anni. Oggi vorrei portarvi più che un quesito, un mio dubbio che è anche un mio personale sfogo. Nel 2024 compirò 64 anni di età e faccio l’impiegato di ufficio. Capisco che la mia attività lavorativa non può essere considerata usurante come invece lo è quella di un lavoratore edile, ma mi pare assurdo che una misura come l’Ape sociale, anche alla luce delle evidenti penalizzazioni a cui i lavoratori sono assoggettati, riguardi solo determinate categorie e non la generalità dei lavoratori. Perché il governo non pensa ad estendere l’Ape sociale all’intera generalità dei lavoratori dipendenti e autonomi?”

 

Ape sociale, platea ridotta, sicuri che sia giusto?

Sfogo giusto quello del nostro lettore, anche perché nella sua lettera mette in luce un aspetto dell’Ape sociale poco considerato da chi va in pensione o da chi aspira ad andarci con questa misura.

Parliamo delle penalizzazioni di assegno che per l’Ape sociale sono molteplici. L’Anticipo pensionistico a carico dello Stato, consente di andare in pensione a 63 anni di età con 30, 32 o 36 anni di contributi versati, in base alla categoria di appartenenza. Solo particolari categorie oggi hanno diritto a sfruttare questo canale di pensionamento anticipato. Innanzitutto gli invalidi che hanno almeno il 74% di disabilità certificata dalle commissioni mediche ASL. In secondo luogo l’Ape è appannaggio dei cosiddetti caregiver, ovvero soggetti che da almeno sei mesi assistono un parente stretto convivente e disabile almeno al 74%. Anche i disoccupati e i lavori gravosi rientrano nella misura.

Nel 2022 sono diventate molte di più le categorie di lavoro dentro il perimetro di questa misura. Proprio di aumento delle attività lavorative considerate gravose è quello di cui in questi giorni si parla. Perché pare sia questa l’intenzione del governo in vista della prossima manovra finanziaria di fine anno.

Più attività dentro il perimetro dell’Anticipo pensionistico sociale e pensione anticipata per molti

Probabilmente aumenteranno le attività lavorative che secondo la normativa vigente sono meritevoli di andare a riposo a partire proprio ai 63 anni di età con 36 anni di contributi versati come l’Ape sociale prevede per i lavori gravosi. Ma ben difficilmente gli impiegati d’ufficio come lo è il nostro lettore, potranno finire con l’essere considerati alle prese con una attività di lavoro gravoso. Appare piuttosto difficile che si arrivi ad una conclusione del genere in base a quello che trapela dalle stanze del governo. A prescindere dal fatto che anche estendendo la platea dei lavori gravosi ci sarà sempre qualcuno che resterà tagliato per via della loro attività considerata meno pesante rispetto alle altre.

La pensione con l’Ape sociale è penalizzante?

Il lettore che parla di penalizzazioni di assegno ha ragione perché l’Ape sociale è una misura piuttosto penalizzante per i lavoratori che vi optano. Innanzitutto perché si tratta di una misura che non prevede tredicesima mensilità. E già questo è una enorme penalizzazione per i pensionati con l’Ape sociale perché di fatto si tratta di una mensilità in meno di assegno pensionistico. Ma l’Ape sociale come penalizzazioni non si ferma solo alla tredicesima mancante. Infatti non ci sono le maggiorazioni e non c’è l’integrazione al trattamento minimo. Sull’Ape sociale non sono previsti gli assegni per il nucleo familiare. La misura oltretutto non è reversibile al coniuge in caso di decesso del beneficiario e non può superare l’importo di 1.500 euro al mese.

Infine questa misura non è una di quelle che si indicizza all’inflazione anno dopo anno. In pratica ciò che un lavoratore prende nel momento in cui esce con l’Ape sociale sarà quello che percepirà fino a 67 anni di età. Quando la misura cesserà di essere erogata al lavoratore che sarà quindi chiamato a presentare, per restare in quiescenza, la domanda di pensione di vecchiaia ordinaria.

Pensioni per tutti a 63 anni

Alla luce di queste evidenti limitazioni che la misura ha, non è difficile pensarla come il nostro lettore che auspica una variazione sul tema ed un passaggio all’Ape sociale per l’intera generalità dei lavoratori e non soltanto per alcune categorie. Effettivamente se si tratta di una misura così penalizzante, perché non estenderla da tutti senza produrre distinzioni? Certo, dal punto di vista del costo, essendo una misura completamente a carico dello Stato, i problemi sono sempre i soliti e parlano di sostenibilità per le casse statali. Superare la riforma Fornero dotando il sistema di una certa flessibilità però potrebbe partire da una Ape sociale potenziata davvero. Per via delle penalizzazioni la flessibilità è un fattore che innegabilmente calza a pennello all’Ape sociale.