L’Italia ha bisogno di una riforma fiscale, non per fare cassa come al solito, bensì per ricostruire il rapporto tra contribuente e stato e porre le basi per un rilancio dell’economia italiana nei prossimi decenni. Sinora, destra e sinistra hanno solo blaterato di correzioni (anche forti) da apportare al sistema impositivo e sul fronte della riscossione, ma senza risultati. In audizione dinnanzi alle commissioni Finanze di Camera e Senato, il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, ha fatto presente ai parlamentari la necessità di improntare la tassazione dei redditi secondo una delle due alternative proposte e di cui vi daremo conto.
Per prima cosa, Ruffini ha avvertito l’esigenza di confermare la “no tax area” per i redditi più bassi. Come? Secondo il modello spagnolo, in cui le detrazioni d’imposta sono legate al numero dei componenti familiari o secondo il modello americano. Questi prevede l’applicazione di un’aliquota negativa per i redditi fino a un certo ammontare.
Una volta stabilita la soglia al di sotto della quale non si dovrebbe pagare l’IRPEF e le modalità per individuarla, secondo Ruffini esisterebbero due vie da prendere in considerazione. La prima è la “flat tax”. Al di là delle distorsioni con cui è stata presentata negli ultimi anni, essa prevedrebbe un’unica aliquota gravante su tutti i redditi superiori alla “no tax area”. Ad esempio, lo stato può decidere di imporre il 20% sopra gli 8.000 euro. Questo significa che un contribuente che dichiari 20.000 euro in un anno pagherebbe il 20% dei 12.000 euro eccedenti gli 8.000 euro di soglia esentasse, cioè 2.400 euro. Se dichiarasse 80.000 euro, pagherebbe il 20% di 72.000 euro, cioè 14.400.
La flat tax deve partire subito e tanto meglio se favorisce chi dichiara redditi più alti
Come funziona il modello tedesco dell’aliquota continua
Questo sistema fiscale risulta difficile da far digerire ai titolari di redditi bassi, che ritengono di essere danneggiati a favore dei contribuenti più abbienti.
C’è anche il modello tedesco, che cerca di mantenere un criterio progressivo, ma disincentivando il meno possibile al lavoro. Esso consiste in un’aliquota continua. In Germania, infatti, non esistono gli scaglioni di reddito, per cui non ci sono quegli “scaloni”, superati i quali le aliquote fiscali salgono, spesso anche repentinamente. Ad esempio, in Italia si paga un’aliquota IRPEF del 23% fino ai 15.000 euro, una del 27% tra i 15.001 e i 28.000 euro, una terza del 38% tra i 28.001 e i 55.000 euro, una quarta del 41% tra i 55.001 e i 75.000 euro e un’ultima del 43% sopra i 75.000 euro. Succede, quindi, che se guadagno 28.500 euro, sui 500 euro che eccedono la soglia dei 28.000 dovrò pagare non più il 27%, bensì il 38%, ben 11 punti in più. Questo “salto” spesso annulla i sacrifici dei lavoratori, che rinunciano agli straordinari o a lavorare di più, mentre incentiva datori di lavoro e dipendenti ad accordarsi in nero.
In Germania, l’aliquota non subisce salti. I redditi sono grosso modo esenti dalla IRPEF tedesca o “Einkommensteuer” fino ai 9.000 euro all’anno. Al di sopra di questa cifra si paga un’aliquota minima del 14% e una massima del 42% fino ai 54.949 euro. Tra i 54.950 e i 260.342 euro, l’aliquota è fissa al 42%, sopra i 260.342 sale al 45%. Tralasciando la complessità del sistema tedesco, che tra l’altro riconosce soglie raddoppiate alle coppie legalmente riconosciute, il punto focale risiede proprio in quell’aliquota continua tra il 14% e il 42%.
Il modello tedesco è meno disincentivante per il lavoro di quello italiano e applicato nella quasi generalità degli stati con sistemi fiscali progressivi. Tuttavia, rimane pur sempre distorsivo, in quanto stanga chi dichiara di più in proporzione maggiore a chi dichiara di meno. La “flat tax” evita alla radice un simile esito. E per quanto un’unica aliquota appaia iniqua, nei sistemi che la adottano ha spinto i contribuenti più facoltosi a partecipare in misura maggiore al gettito fiscale, cioè al mantenimento dei servizi pubblici a favore di tutti i cittadini. Risulta ipocrita fingere di stangare i redditi più alti, che il più delle volte trovano mille scappatoie legali per sfuggire alla tassazione, magari spostando la residenza all’estero.
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