I rendimenti dei fondi pensione cominciano a scricchiolare. Nel lungo periodo finora hanno battuto il benchmark costituito dal TFR. Ma cosa aspettarsi per i rendimenti futuri? Conviene veramente farsi una pensione integrativa?
La crisi finanziaria iniziata nel 2020 col Covid e che sta proseguendo con lo scoppio della guerra in Ucraina, avrà ripercussioni negative anche sui fondi pensione. Inutile raccontarla diversamente perché i gestori investono i soldi dei lavoratori nei mercati finanziari.
Calo delle borse e fondi pensione
Se le borse salgono, anche i rendimenti aumentano, ma se i mercati perdono le conseguenze si ripercuotono anche sui rendimenti dei fondi pensione.
Di fatto, nei primi sei mesi del 2022 i fondi pensione hanno perso anche più del 10%. In particolare quelli negoziali. Nel lungo periodo il risultato è positivo, ma i costi occulti di gestione non rendono i fondi tanto più convenienti del TFR.
Ci si domanda, a questo punto, se conviene veramente aderire alla previdenza complementare oppure no. La disinformazione e l’ignoranza di fondo in materia resta alta, purtroppo, e non sempre aderire ai fondi pensione è la soluzione migliore per ottenere una rendita integrativa.
Questo perché, essendo le variazioni al ribasso di natura temporanea, gli investimenti nei fondi trasformano in perdite effettive solo al momento del riscatto. Quindi, se un lavoratore sta per andare in pensione, in questo momento rischierebbe di subire una perdita, anziché un guadagno.
I costi occulti di gestione
Chi non perde mai sono, invece, sono i gestori dei fondi pensione. Cioè banche e assicurazioni. Benché il rendimento nel lungo periodo sia stato finora migliore di quello offerto dal TFR, è da considerarsi sempre al lordo dei costi di gestione.
Si tratta spesso di costi occulti che i gestori si mangiano durante il periodo di adesione erodono lentamente parte dei guadagni e il capitale investito se i fondi perdono.
Nonostante i rendimenti degli ultimi 10 anni abbiano battuto il TFR, restano molti dubbi in fatto di trasparenza. I fondi pensione sono ancora più opachi dei fondi comuni d’investimento – dicono gli esperti – al punto che è difficile sapere quali titoli vengono comprati o venduti, quando e a che prezzo.
I rendimenti dei fondi pensione
Ci sono poi i rischi di investimento. La storia ci insegna che i fondi pensioni possono subire anche perdite pesanti se crollano i mercati finanziari. Lo dimostrano i dati passati. Prendendo il ventennio da fine 1962 a fine 1982 un fondo pensione avrebbe condotto a risultati disastrosi, anche se ben gestito e a costi bassissimi. Al contrario, il TFR avrebbe preservato la maggior parte della somma accantonata al netto dell’inflazione.
Il rendimento dei fondi pensione, secondo una indagine di Itinerari Previdenziali – è stato mediamente del 4% negli ultimi 10 anni. Per contro, il TFR che i lavoratori hanno scelto di lasciare in azienda ha reso la metà. Ma questi risultati sono riferiti al passato e difficilmente replicabili in un contesto di crisi finanziaria come quella che stiamo attraversando.
Primi sei mesi del 2022 in calo
Infine, secondo i dati Covip, i rendimenti dei fondi pensione nei primi sei mesi del 2022 sono risultati negativi. Pari a -8,3 e a -9,7 per cento, rispettivamente, per fondi negoziali e fondi aperti. Per i PIP di ramo III i rendimenti sono andati anche peggio, pari a -10,3 per cento.
Tuttavia, valutando i rendimenti su orizzonti più propri del risparmio previdenziale, nei dieci anni da inizio 2012 a fine 2021, il rendimento medio annuo composto è stato pari al 4,1 per cento per i fondi negoziali, al 4,6 per i fondi aperti, al 5 per i PIP di ramo III.
Se, però, ai dieci anni si aggiungono i sei mesi negativi del 2022, i rendimenti medi annui scendono al 3,1 per cento per i fondi negoziali, al 3,4 per i fondi aperti e al 3,7 per cento per i PIP di ramo III. La rivalutazione del TFR nello stesso periodo è del 2,2 per cento.