Fondi pensione: meno tasse e più silenzio assenso per attrarre i lavoratori

Lo Stato in soccorso dei fondi pensione con altri incentivi fiscali. Lavoratori italiani sempre più scettici sulla destinazione del Tfr alla previdenza complementare.
1 anno fa
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La previdenza complementare resta al palo in Italia e con essa la raccolta dei fondi pensione. Del resto, dopo lo tsunami finanziario che lo scorso anno ha investito in pieno la Gran Bretagna e dopo i crac delle banche americane Silicon Valley, Signature e First Republic, c’è poco da stare tranquilli con gli investimenti.

Così il governo, su pressione delle industrie dei fondi pensione, sta pensando di introdurre nuovi incentivi fiscali per promuovere la previdenza complementare. Una misura che dovrebbe essere inserita nel più ampio progetto di riforma fiscale al vaglio dell’esecutivo.

Non solo. Allo studio ci sarebbe anche un rafforzamento dell’istituto del “silenzio assenso” per i lavoratori nuovi assunti.

Il governo in soccorso dei gestori

Per incoraggiare i giovani lavoratori a sottoscrivere i fondi pensione, il governo punta ad abbassare la soglia di tassazione dei fondi destinati al Tfr. Come noto e come risulta dai dati economici, i giovani non ne vogliono sapere, a differenza dei lavoratori più anziani che percepiscono maggiormente le preoccupazioni della vecchiaia. Per cui è allo studio un incentivo per convincerli ad aderire ai fondi pensione.

Il tutto è condito, come sempre, dalla propaganda negativa sul futuro pensionistico italiano. Vero solo in parte, dal momento che non è dato sapere come saranno le pensioni fra 30-40 anni e quale sarà lo stato di salute dell’economia dei conti pubblici. Così spaventando il lavoratore si ottiene un risultato garantito facendolo desistere dal conservare il proprio Tfr presso l’azienda. Pompando altresì la propaganda sulla ripresa dei rendimenti dei fondi nel primo trimestre del 2023.

Il Tfr resta la soluzione migliore

I dati incoraggianti dei fondi pensione, però, non devono trarre in inganno. La rivalutazione del Tfr lasciato in azienda ha reso poco di più sul lungo periodo. Il Tfr – lo ricordiamo – si rivaluta sempre del 1,50% più 0,75% del taso di inflazione senza subire cali.

Nel 2022 è cresciuto del 8,3%, contro una perdita media del 10% dei fondi pensione. Un gap difficile da recuperare nel medio periodo.

Sul lungo periodo il Tfr ha comunque battuto il rendimento dei fondi pensione: rispetto al 2017 (orizzonte di cinque anni), i fondi negoziali hanno guadagnato lo 0,4% e i fondi aperti lo 0,2%, mentre i PIP variano dal +1,4% delle gestioni separate al +0,6% degli unit linked. Il Tfr, invece, ha guadagnato il 3,3%. A dieci anni i fondi aperti sono saliti del 2,5%, i negoziali del 2,2% e il Tfr del 2,4%. Solo la performance media dei fondi pensione azionari è superiore al rendimento del Tfr.

Anche se nel lungo periodo le differenze dovessero risultare minime, il rischio di sottoscrivere forme di pensione complementare nel momento sbagliato rischia di compromettere seriamente i progetti di integrazione previdenziale futura. Con perdite anche pesanti.

Il silenzio assenso

Ma in ballo c’è anche il nuovo silenzio assenso. Strumento di battaglia a favore dei fondi pensione. Secondo indiscrezioni, il governo punta a modificare la legge del 2007, quando entrò in vigore l’attuale normativa sulla previdenza complementare. Questa prevede, per i soli neo assunti, per un periodo di sei mesi di tempo per decidere se lasciare il Tfr in azienda o destinarlo alla previdenza complementare.

Secondo i piani dell’esecutivo, il nuovo semestre di silenzio assenso riguarderebbe dal prossimo anno tutti i lavoratori che ancora mantengono il Tfr in azienda, quindi non solo i neo assunti, e che sarebbero chiamati a una scelta esplicita. In assenza della quale la loro posizione verrebbe destinata automaticamente al fondo pensione negoziale di riferimento.

Meno tasse sui fondi pensione

E veniamo ora all’incentivo fiscale. Nella bozza di riforma è previsto l’innalzamento della soglia di deducibilità del Tfr alla previdenza complementare. Oltre alla diminuzione delle imposte sulla rendita futura. Oggi il limite di deducibilità è pari a 5.164 euro all’anno, ferma a più di due decadi, ma potrebbe salire a 7.000-7.500 euro anche in ragione dell’aumento dei salari e dell’inflazione.

Anche il prelievo fiscale sulla pensione integrativa potrebbe cambiare. Attualmente le trattenute del fisco sulla rendita dei fondi pensione è del 15%, e scende al 9% solo in casi particolari. In base al comma quater dell’articolo 11 del Dlgs 252/2005

ai fini della liquidazione della somma accumulata, si applica una tassazione agevolata del 15%, che subisce una riduzione di 0,30 punti per ogni anno superiore al 15° anno di iscrizione alla pensione integrativa, con una soglia massima di riduzione di 6 punti percentuali.

In pratica, coloro che versano il Tfr ai fondi pensione per più di 15 anni potranno beneficiare di un’agevolazione fiscale maggiore. Ma questo non sembra bastare a incentivare i lavoratori italiani ad aderire alla previdenza complementare. Così, nelle intenzioni del Governo, l’asticella del prelievo potrebbe scendere di almeno il 2-2,5%.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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