I fondi pensione non sono sicuri. Lo abbiamo già detto e lo ripeteremo sempre. Non sono il mezzo ideale per farsi una pensione complementare, cioè quella rendita aggiuntiva privata da affiancare a quella pubblica al termine della carriera lavorativa.
L’alternativa è quella di tenersi il Tfr in azienda, come fanno ancora molti in Italia, in particolare i giovani. Il rendimento è certo e sempre positivo. E, cosa più importante, non si perde la disponibilità del denaro accumulato che può sempre essere utilizzato al momento del bisogno.
Cosa fanno i fondi pensione
I fondi pensione non sono altro che fondi di investimento che investono denaro sui mercati finanziari di tutto il mondo. In prevalenza obbligazioni e titoli di Stato che offrono un rendimento fisso e periodico. Investono anche in azioni, sul mercato immobiliare e in altri strumenti spesso più rischiosi.
Al lavoratore che viene chiesto sempre più insistentemente di affidare il suo Tfr ai fondi pensione, però, non è dato sapere come sono fatti questi investimenti. Quando, a che prezzo. Non c’è la benché minima trasparenza e comunicazione in questo senso. Così, se un investimento va male o il mercato non segue le aspettative, nulla viene detto.
Sono solo comunicati i risultati del fondo pensione sottoscritto e il suo rendimento. Cosa che, peraltro, risulta di non facile comprensione per un lavoratore che di finanza mastica poco o niente. Salvo, poi, scoprire che il fondo di investimento non darà i risultati tanto attesi al momento del bisogno.
In altre parole, al momento del riscatto, il fondo pensione non fa altro che trasformare il capitale in rendita. Se il capitale è cresciuto, la rendita sarà maggiore. Viceversa sarà più bassa di quanto atteso.
Perché i rendimenti scendono
E veniamo al punto dolente. Come spiegano gli esperti, il ritorno dirompente dell’inflazione ha messo in difficoltà i fondi pensione.
Nell’ultimo decennio, fino alla fine della pandemia, i fondi pensione hanno investito più soldi di quanto disponevano per poter garantire ai lavoratori maggiori ritorni rispetto al Tfr. Ciò ha implicato l’utilizzo di derivati e operazioni a leva mettendo a garanzia gli stessi asset patrimoniali.
Con l’esplosione dell’inflazione e il crollo dei prezzi, i gestori hanno intrapreso una corsa alla vendita che ha comportato perdite significative. Il risultato è stato un disastro di proporzioni gigantesche. In Gran Bretagna, la Banca d’Inghilterra è dovuta intervenire per tamponare il crac. In Italia, la perdita è stata di quasi il 6% a livello patrimoniale con effetti sui rendimenti dei fondi pensione negativi del 10% di media (dati Covip).
Le turbolenze sui mercati
E non è finita. Molti fondi pensione si trovano ancora in difficoltà. Il recente crac della californiana Silicon Valley Bank e le difficoltà della svizzera Credit Suisse stanno creando ulteriori turbolenze sui mercati. I fondi pensione che hanno investito in queste realtà ne soffriranno, ma a pagare il conto finale saranno i lavoratori. I fondi non falliranno, ben inteso, ma possono perdere anche percentuali del 70-80% del loro patrimonio se le cose vanno male con ricadute drammatiche sul risultato finale: la pensione integrativa.
In questo scenario, che non è mai stato sicuro e tranquillo nemmeno in tempi di tassi d’interesse bassi, la scelta di dirottare quote del Tfr verso i fondi pensione per assicurarsi una rendita integrativa è sbagliata. O meglio lo è nei termini in cui l’obiettivo è quello di ottenere qualcosa di più dalla rivalutazione del Tfr.
Quanto rende il Tfr rispetto ai fondi pensione
Il lavoratore deve sapere che il rendimento del Tfr è certo e prestabilito, cioè 1,5% + 75% del tasso d’inflazione annuale.
Si evita anche di regalare commissioni succulente ai gestori dei fondi di investimento e favorendo banche e istituzioni di vario genere. Il capitale, oltretutto, non andrà mai perso e può essere devoluto in caso di successione. Cosa impossibile se trasformato in rendita dai fondi pensione.