Fondi pensione in difficoltà dopo lo tsunami finanziario che ha investito la Gran Bretagna. In Italia, come nel resto d’Europa, si tenta quindi di addolcire la pillola amara del crollo dei rendimenti con ulteriori incentivi fiscali alle adesioni.
E’ di queste ore la notizia che il Parlamento sta per inserire in Manovra di bilancio una norma che abbassa le tasse sui fondi pensione dal 2023. In tutte le sue forme, dai negoziali a quelli aperti, per finire coi piani di accumulo.
Meno tasse sui fondi pensione dal 2023
Attualmente il prelievo fiscale sulla rendita dei fondi pensione è del 15%, e scende al 9% solo in casi particolari. Più precisamente, in base al comma quater dell’articolo 11 del Dlgs 252/2005
ai fini della liquidazione della somma accumulata, si applica una tassazione agevolata del 15%, che subisce una riduzione di 0,30 punti per ogni anno superiore al 15° anno di iscrizione alla pensione integrativa, con una soglia massima di riduzione di 6 punti percentuali.
In pratica, per coloro che versano quote del Tfr ai fondi pensione più di 15 anni potranno beneficiare di un’agevolazione fiscale maggiore. Ma questo non sembra bastare a incentivare i lavoratori italiani ad aderire alla previdenza complementare. I numeri, del resto, confermano un rallentamento delle iscrizioni, anche a causa del tonfo dei rendimenti.
Così lo Stato, su pressione di banche e assicurazioni, sta per concedere l’ennesimo favore ai gestori abbassando il prelievo fiscale. Nelle intenzioni dell’esecutivo l’asticella del prelievo dovrebbe scendere di almeno il 2-2,5%. Il tutto accompagnato da una nuova fase di “silenzio-assenso” per destinare il Tfr alla previdenza complementare, come chiedono i sindacati.
Il Tfr resta la soluzione migliore
Ma quando qualcuno si scomoda per farti un favore, c’è sempre un interesse da coltivare che non sarà mai il tuo.
Da gennaio a settembre – secondo i dati della Commissione vigilanza sui fondi pensione, Covip – a fronte di una incremento dei lavoratori iscritti, i rendimenti sono risultati negativi. I fondi pensione negoziali hanno perso il 10,6%, mentre quelli aperti il 12,2%. Per i piani individuali pensionistici di ramo III le perdite sono state addirittura del 12,4%. Mentre il Tfr ha reso il 5,2%.
Valutando i rendimenti su un orizzonte temporale decennale, però, salta fuori che il rendimento medio annuo composto è stato pari 3,1% per i fondi pensione negoziali, 3,4% per i fondi aperti e 3,7% per cento per i PIP di ramo III. Contro una rivalutazione del TFR nello stesso periodo del 2,2%.
Quindi il Tfr sul lungo periodo cede il passo. Ma c’è da tenere ben presente che il rischio di perdite anche pesanti è sempre dietro l’angolo perché i fondi pensione investono sui mercati azionari e obbligazionari.
La cosa più importante da tenere presente, però, è che il Tfr rimane sempre nella disponibilità del lavoratore. Anche con questo tesoretto accumulato negli anni ci si può fare una pensione integrativa al momento della liquidazione. E il capitale resterà sempre in possesso del pensionato e potrà essere devoluto in caso di successione.