Se vincerà le elezioni presidenziali di novembre, Donald Trump ha promesso che istituirà un fondo sovrano dalle dimensioni persino maggiori di quello in Norvegia. La stessa amministrazione uscente del presidente Joe Biden lavora da tempo a una proposta simile. Delegazioni di tredici stati, dalla Svezia all’Argentina, si recarono nel marzo dello scorso anno ad Oslo per capire quali siano i fattori di maggiore successo da cui trarre spunto nelle rispettive economie. La verità è che ci troviamo dinnanzi ad un caso più unico che raro e con tappe ben precise.
Fondo sovrano, decollo nel 1996
La prima data da cerchiare è il 1969, quando lo stato scandinavo avvia le prime trivellazioni nel Mare Artico per scoprire l’esistenza di eventuali giacimenti di petrolio. Cinque anni più tardi iniziano le prime estrazioni. Nel 1990 il Parlamento nazionale (Stortinget) approva una legge per istituire un fondo sovrano alimentato dai ricavi di petrolio e gas, detratti i costi. E arriviamo alla data più importante: 1996. E’ quell’anno che viene istituito a tutti gli effetti il fondo con annesso primo trasferimento di risorse dal governo alla Norges Bank Investment Management (NBIM).
Come funziona la regola fiscale
I compiti tra le istituzioni sono ripartiti in maniera ben precisa: il Parlamento fissa le regole, il Ministero delle Finanze è responsabile delle linee guida per la gestione del fondo sovrano, affidata alla Norges Bank, che è la banca centrale. Essa a sua volta esercita tale compito attraverso una società apposita, per l’appunto la NBIM. Un’altra data chiave possiamo fissarla nel 2001, anno in cui fu approvata la famosa “regola fiscale” che ancora oggi è considerata alla base del grande successo di questa iniziativa. In cosa consiste? Ogni anno, il governo nazionale deve trasferire al fondo sovrano gli eventuali avanzi di bilancio. Da esso può detrarre, invece, un importo massimo pari al rendimento reale atteso.
In altre parole, la regola fiscale ha fatto sì che le dimensioni del fondo sovrano di anno in anno non possano diminuire. Infatti, non è ammesso al governo prelevare più di quanto esso si attenda che renda in termini reali. Ma di preciso, in cosa investe? Sappiate che l’1,5% dell’intero valore borsistico mondiale è in mano proprio all’ente di Oslo. Inizialmente, invece, gli investimenti venivano effettuati per intero in favore dei bond. Oggi, grosso modo il 70% delle risorse risulta impiegato in azioni, un quarto in obbligazioni private e pubbliche e il resto in attività immobiliari non quotate in borsa.
Norvegia senza debito pubblico netto
Vi lasceranno di stucco le dimensioni a cui il fondo sovrano norvegese è arrivato: 19.210 miliardi di corone, pari a 1.630 miliardi di euro all’attuale tasso di cambio. Tanto per avere un’idea dei numeri, considerate che la popolazione in Norvegia ammonta a 5,5 milioni di abitanti e che alla fine del 2023 il debito pubblico ammontava (in euro) a 204 miliardi, il 37,12% del Pil. Il valore degli investimenti corrisponde al 363% del Pil dello scorso anno. In altre parole, i norvegesi non soltanto non posseggono alcun debito pubblico netto; anzi, le loro attività nette equivalgono a quasi il 330% del Pil.
Il fondo sovrano norvegese nacque con l’intento di garantire un futuro al sistema previdenziale nazionale. Tant’è che, formalmente, esso è un fondo pensionistico. La verità è che Oslo oggi è diventata una capitale finanziaria di rilevanza globale, dato che investe in 9.000 società quotate in 70 stati del mondo. Trae beneficio dall’andamento dell’economia globale e per contro apporta benefici ai mercati nel resto del pianeta grazie agli ingenti investimenti realizzati.
Risorse in gran parte dagli investimenti
Da notare come la maggior parte delle risorse non sia derivata da trasferimenti diretti di entrate da petrolio e gas.
La regola fiscale non è messa in discussione da nessun partito politico. E’ considerata fondamentale per il benessere futuro dei norvegesi. Lo stato dal canto suo gestisce le risorse pubbliche con grande prudenza. Basti sapere che l’anno scorso, grazie anche al buon andamento del mercato dell’energia, ha chiuso il bilancio in attivo del 16,50% del Pil. E non è stato affatto un record. L’anno prima, aveva registrato un surplus del 25,60%. L’unico deficit negli ultimi trenta anni vi fu nel 2020, anno nerissimo per il petrolio a causa della pandemia.
Fondo sovrano esempio di lungimiranza scandinava
Per carità, potremmo affermare che siamo tutti bravi a gestire bene le finanze statali avendo a disposizioni grandi risorse energetiche per una popolazione di piccole dimensioni. Ma siamo sicuri che ad altre latitudini una tale grazia sarebbe stata sfruttata al meglio? L’esempio del Venezuela calza a pennello. Vanta le più grandi riserve di petrolio ed è ridotta alla fame da un sistema di governo corrotto e altamente assistenziale e inefficiente. Il fondo sovrano fu ideato in Norvegia ancor prima che fosse scoperto il petrolio. Negli anni Sessanta ad Oslo si dibatteva su come eventualmente sfuggire alla “maledizione olandese”, la stessa che ha colpito nei secoli gran parte delle economie ricche di materie prime.