Perché l’Italia non ha e né può avere un fondo sovrano come la Norvegia

Il modello norvegese per il nostro Paese rimane un sogno quasi impossibile da realizzare. Ecco perché.
4 anni fa
3 minuti di lettura
Fondo sovrano Norvegia in profondo rosso

E’ capitato molto di recente al sottoscritto di imbattersi in una discussione social sul perché l’Italia dovrebbe imitare la Norvegia con l’istituzione di un proprio fondo sovrano. Diversi professionisti del settore del risparmio si sono espressi a favore, anche se il sentimento prevalente è stato: “ma gli italiani non sono norvegesi”. Il Leitmotiv del ragionamento era il seguente: se anche creassimo un nostro fondo sovrano, non saremmo mai efficienti come la Norvegia, che ha tutt’altra mentalità.

Anzitutto, di cosa parliamo? Nel 1996, la Norvegia ha istituito un fondo sovrano, inizialmente chiamato Fondo Petrolifero e oggi noto nel mondo come Fondo Globale Pensionistico Governativo.

I primi versamenti risalgono a 25 anni fa e nel 2019 per la prima volta gli assets gestiti superavano il valore di 10.000 miliardi di corone norvegesi, circa 1.000 miliardi di dollari. Oggi, si attestano a circa 11.000 miliardi di corone, qualcosa come 10.300 miliardi di dollari o 1.100 miliardi di euro. Parliamo di 2,5 volte il PIL dello stato scandinavo.

Pensate per un attimo se l’Italia disponesse di un fondo da oltre 4.000 miliardi di euro. Altro che debito pubblico! Siederemmo su una montagna di ricchezza enorme. I mercati finanziari non solo non ci farebbero più paura, ma sarebbero in buona parte di nostra proprietà. Di fatto, il fondo sovrano norvegese ha assets investiti in 72 stati e detiene la media dell’1,4% del capitale azionario delle società quotate in tutto il mondo. Esso investe attualmente per quasi i tre quarti in azioni (72,8%), il 24,7% in obbligazioni e il 2,5% nel mercato immobiliare. Di recente, ha aperto anche al settore delle energie rinnovabili.

Fondo sovrano possibile in Italia?

Da dove prende i capitali Oslo? Dalle entrate legate al petrolio. Negli anni scorsi, per la prima volta dalla sua nascita, il governo ha prelevato dal fondo sovrano più denaro di quanto non ne fosse stato depositato, riducendone l’ammontare in valore assoluto.

E’ stato un modo per reagire alla crisi delle quotazioni del greggio del 2014-2016. Quasi uno shock per un paese abituato a vedere crescere le dimensioni degli assets senza sosta. Il rendimento medio annuo dal 1998 alla fine del 2020 è stato del 6,3%.

Condizione imprescindibile per creare un fondo sovrano è, dunque, possedere entrate extra-fiscali. Certo, un governo potrebbe sempre accantonare risorse accumulate grazie agli avanzi di bilancio. Ma a parte che ciò significherebbe sovra-tassare l’economia, a tutto discapito della crescita, servirebbero parecchi decenni per ottenere dimensioni significative degli assets. E l’Italia non chiude certo i bilanci in attivo. Anzi, siamo nel mirino degli investitori da molto tempo proprio per la nostra condizione fiscale precaria.

A questo punto, rispondiamo alla domanda di chi suggerisce di utilizzare i risparmi degli italiani per creare un fondo sovrano tricolore. Primo inghippo: dovremmo per caso usare la coercizione per mettere le mani sui circa 4.400 miliardi di euro di ricchezza finanziaria? Se così non fosse, perché mai le famiglie italiane dovrebbero investire in un fondo pubblico, anziché in uno privato? Qualcuno ha scritto “perché lo stato offrirebbe rendimenti più alti”. E come potrebbe mai? Non solo dovrebbe rivelarsi almeno efficiente nella gestione quanto un privato, ma dovrebbe esporre i capitali investiti a rischi maggiori. Per definizione, solo così sarebbe capace di offrire di più ai clienti-cittadini.

Idea malsana piena di pericoli

E ammesso che fossimo capaci di fare tutto questo, sarebbe desiderabile? No, per due ragioni fondamentali. La prima è che il fondo sovrano spiazzerebbe gli investimenti nei fondi privati domestici. Esso non creerebbe ricchezza netta, ma semplicemente la sottrarrebbe agli operatori concorrenti. Secondariamente, quegli assets per lo stato sarebbero debiti verso la clientela, cioè da restituire all’atto della richiesta di riscatto. Dunque, siamo in tutt’altro scenario rispetto alla Norvegia (lo stesso dicasi per gli altri stati), dove il fondo sovrano investe capitali propri, i quali si configurano, pertanto, quale ricchezza aggiuntiva del sistema-Paese.

Qualcuno azzarda che almeno così il fondo sovrano italiano investirebbe i capitali in patria. Ebbene, è un ragionamento pericolosissimo. Esso contraddice una delle regole fondamentali dei mercati, cioè quella per cui l’eccessiva concentrazione dei rischi sul piano geografico e settoriale va evitata. Pensate ai PIR. Prodotti privati creati a seguito dell’incentivo fiscale dello stato per aiutare il sistema delle piccole e medie imprese italiane. Va da sé che non appena la nostra economia sia entrata in affanno (già prima del Covid), non abbiano sortito una buona sorte per gli investitori italiani.

Il Parlamento ha di recente discusso sulla possibile istituzione di un fondo sovrano italiano su proposta del senatore Sestino Giacomoni, presidente della commissione di controllo sulla Cassa depositi e prestiti. Il clima bipartisan sul tema è prettamente ipocrita e di pura facciata. L’Italia non ha alcun petrolio dal quale ricavare entrate extra e se le avesse le dovrebbe certamente utilizzare per abbattere il suo immenso debito pubblico. L’idea mira a fare dello stato una sorta di gestore del risparmio. Siamo ben oltre al concetto stesso di stato-imprenditore. E statene certi, con la pandemia la politica cercherà di avocare a sé quanti più spazi possibili per ridarsi un peso perduto in decenni di crescita della libertà di mercato. Non finirà bene.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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