Sta nascendo una classe borghese in Corea del Nord?
La sola città cinese di Dagong ha ammesso di utilizzare almeno 10.000 lavoratori nordcoreani nella sua industria tessile, con orari di lavoro per 12-14 ore al giorno e per 260 dollari al mese. Moltissimi di questi dipendenti sono prigionieri politici, perseguitati, che hanno come alternativa la schiavitù o la morte. Testimoni stranieri parlano di lavoratori in catene, costretti a lavorare in ambienti senza quasi alcuna igiene in Russia. Se solo provassero ad evadere, sarebbero riportati in patria legati mani e piedi e fucilati al loro arrivo.
Il nuovo piano quinquennale di Kim Jong-Un, svelato a maggio, punta a produrre più beni e in qualità migliore. La politica del regime sembra piuttosto chiara: “cannone e burro” per mettere insieme esigenze diverse, da quelle di accrescimento della potenza militare nazionale, a cui è dedicato quasi un quarto del pil, al miglioramento degli standard di vita delle famiglie.
Resta da vedere fino a quale punto Pyongyang si spingerà ad accettare le sfide che un pur minimo tasso di capitalismo comporta, ovvero le crescenti disuguaglianze tra città e campagna e tra i neo-imprenditori e il resto della popolazione. Per quanto siamo anni luci lontani dalle riforme degli anni Ottanta di Michkail Gorbacev nell’ex Urss, quell’esperienza dimostra che quando in un’economia nasce e cresce una classe borghese, le strutture politiche socialiste s’indeboliscono inesorabilmente e con una velocità inimmaginabile. E tra i due non sembra possibile una convivenza pacifica. Che Kim Jong-Un abbia messo in moto meccanismi che non sarà in grado di governare? (Leggi anche: Spese militari record, ecco dove Kim Jong-Un prende i soldi)