Ecco la formula usata da Trump per fissare i dazi reciproci

Il presidente Donald Trump ha annunciato i "dazi reciproci" verso il resto del mondo, usando una formula apparentemente semplice.
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6 giorni fa
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Formula per dazi reciproci
Formula per dazi reciproci © Licenza Creative Commons

Il “Liberation Day” è stato celebrato in pompa magna al Rose Garden per quello che il presidente americano Donald Trump ha spiegato essere il giorno in cui l’America torna ad essere ricca e finisce lo sfruttamento del mondo nei suoi confronti. Evento seguito praticamente con il fiato sospeso a partire dalle ore 22.00 italiane dai leader globali. C’è stato l’annuncio dei famosi “dazi reciproci” con tanto di tabella per dimostrare l’inconsistenza delle critiche straniere e una formula utilizzata per fissarli. Scopriamo quale e perché abbia giudicato “patetica” l’Europa quando lamenta di essere danneggiata ingiustamente da queste misure.

Formula dazi reciproci, si parte dal 10%

Le trattative per arrivare alla fissazione dei dazi reciproci nel team del presidente erano andate avanti fino a quasi l’ultimo secondo. Ci sono state molte pressioni sui repubblicani per ottenere provvedimenti quanto meno nocivi possibili per gli interessi americani. Alla fine, l’annuncio: dazio di base del 10% verso tutti. Si pensava peggio, come il 15% o 20%. Ma sulle importazioni di auto sale immediatamente al 25%. E questo era grosso modo atteso. Poi, si va verso dazi reciproci differenziati grazie all’uso di una formula sottostante abbastanza semplice.

Barriere non tariffarie, verità scomoda per tutti

Alla Cina si applicherà un dazio al 34%, all’Unione Europea del 20%, al Vietnam del 46%, a Taiwan del 32%, al Giappone del 24%, all’India del 26%, ecc. Il Regno Unito se la caverà con il 10%, il minimo. Nel caso della Cina, poi, questa percentuale si somma al 20% già imposto il mese scorso, arrivando complessivamente al 54%. Come si è arrivati a fissare queste percentuali? Trump e il suo team hanno calcolato i dazi imposti da ciascuna economia sulle importazioni americane.

Non solo quelli tariffari, cioè l’aliquota applicata. Il calcolo tiene conto anche delle note “barriere non tariffarie”, che non sono altro che provvedimenti tesi a scoraggiare le importazioni dall’estero.

Vi facciamo un esempio: se uno stato fa entrare solo le auto con un particolare tipo di sedili, nei fatti sta ponendo una barriera all’ingresso di auto straniere. Difficilmente, infatti, una casa all’estero produrrà ad hoc per esportare solo in un Paese, a meno che le dimensioni del suo mercato non fossero tali da rendere l’operazione conveniente. Ebbene, per l’Unione Europea i dazi imposti mediamente sulle merci americane sarebbero del 39%. Come annunciato prima di ieri, però, Trump è così generoso da averci fatto lo sconto a tutti, dimezzando tale percentuale.

Criteri per fissazione dazi reciproci

Ma veniamo con maggiore esattezza alla formula sui dazi reciproci: (deficit commerciale / importazioni) / 2. Ad esempio, gli Stati Uniti con la Cina hanno maturato un deficit commerciale di 291,9 miliardi di dollari su 433,8 miliardi di importazioni (sempre dalla Cina). Il rapporto tra le due grandezze esita uno 0,67%. Suddiviso per 2 e arrotondato, dà 0,34. Ossia, il 34%. La formula sui dazi è stata fissata in maniera un po’ più complessa, in quanto tiene conto anche dell’elasticità delle importazioni e dei prezzi all’importazione rispetto alla tariffa.

Questi due parametri sono importanti per evitare che alla fine il conto lo paghi l’economia americana. Se impongo i dazi su un bene di cui i consumatori e le imprese non possono fare a meno, come ad esempio una materia prima indispensabile alla produzione, alla fine sto solo aumentando l’inflazione domestica senza per questo stimolare necessariamente la produzione interna. Se i dazi insistono su prodotti e servizi la cui domanda tende a salire/diminuire quando i prezzi scendono/salgono, possono sperare di ridurne le importazioni e rimpiazzarle con produzioni domestiche alternative.

Formula dazi per attirare aziende negli USA

Formula a parte, la scommessa di Trump sui dazi consiste nella capacità che ha l’America di attirare aziende dal resto del mondo per produrre in loco ed evitare così la stangata. Non sarebbe un processo immediato, perché una fabbrica non si smonta e si rimonta in una giornata dall’altra parte del pianeta. Tuttavia, l’idea è meno folle di quanto pensiamo. Non tutti gli stati sono uguali. Gli USA sono la prima potenza economica, finanziaria, politica e militare. La loro capacità di “moral suasion” nei confronti del mondo del business è più forte di quella di chiunque altro. Se avranno successo, a pagarne il prezzo sarebbero tutti gli altri, Europa compresa.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
Il suo motto è “Il lettore al centro grazie a una corretta informazione”; ogni suo articolo si pone la finalità di accrescerne le informazioni, affinché possa farsi un'idea dell'argomento trattato in piena autonomia.

1 Comment

  1. Concordo con la tesi che i dazi non sono così folli. Vi sarà un aumento della tassazione al consumo verso chi è più ricco e vuole comprare prodotti stranieri. Poi una diminuzione degli spostamenti di merci può diminuire consumo di carburanti e relativo inquinamento. Bisogna anche finirla con lo sfruttamento di lavoratori nei paesi poveri.

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