Nella sua “déclaration de politique générale”, che possiamo considerare a tutti gli effetti un discorso d’insediamento, il nuovo primo ministro Michel Barnier ha giudicato grave la condizione dei conti pubblici in Francia, paventando il rischio che il deficit fiscale salga al 6% del Pil quest’anno. Sarebbe un rapporto di gran lunga superiore al 4,4% programmato dal precedente governo. Per questa ragione, non ha nascosto ai deputati dell’Assemblea Nazionale che saranno necessari misure “urgenti e radicali” per contenere il debito “colossale”.
Bond francesi nervosi sui mercati
Barnier ha altresì voluto rassicurare che cercherà di non compromettere la competitività dell’economia francese. Sta di fatto che ha debuttato come primo ministro rinviando di due anni il taglio del deficit della Francia sotto il 3% del Pil. L’obiettivo non sarà più centrato al 2027, come si prefiggeva il predecessore Gabriel Attal, bensì al 2029. A titolo di confronto, l’Italia ha confermato la riduzione sotto la soglia massima fissata dal Patto di stabilità al 2026.
I bond francesi riducevano i guadagni mentre Barnier parlava, anche se i rendimenti decennali sono scesi comunque ai minimi da sei mesi. Il problema sta nei numeri, non solo delle finanze statali. Per tagliare il deficit della Francia bisognerà o tagliare la spesa o aumentare le tasse o un mix delle due cose. Il governo non ha una maggioranza che possa seguirlo. Già la sinistra ha annunciato la presentazione di una mozione di sfiducia. Se i deputati del Rassemblement National di Marine Le Pen la votassero, Barnier andrebbe a casa ancora prima di iniziare il suo lavoro.
Barnier in mano a Le Pen
Lo scenario appare improbabile. Tecnicamente, il presidente Emmanuel Macron non può sciogliere l’Assemblea Nazionale per un anno. La Francia rischia il caos senza un governo nel pieno dei poteri per un periodo così lungo. Le Pen ha accolto la nomina di Barnier, preannunciando che deciderà pragmaticamente in base ai provvedimenti presentati. A cosa punta? A legittimarsi agli occhi dell’establishment politico e a rafforzare la sua immagine tra i francesi quale leader responsabile. Non solo. Vorrebbe portare a casa misure popolari come lo smantellamento della riforma delle pensioni. Se ci riuscisse, tra l’altro dai banchi dell’opposizione, sarebbe un trionfo.
Improbabile, tuttavia, che il nuovo governo possa anche solo considerare l’ipotesi di disfare la faticosa riforma delle pensioni approvata un anno fa dopo un trentennio di tentativi a vuoto. Sarebbe un segnale devastante per i mercati e contribuirebbe ad aggravare lo stato dei conti pubblici nel lungo periodo. Il deficit della Francia, anziché scendere, salirebbe ulteriormente. Sta di fatto che senza Le Pen, i voti dei centristi sarebbero largamente insufficienti per far approvare le leggi. Questo è il rebus che il primo ministro dovrà cercare di risolvere in tempi brevi per attirare la fiducia degli investitori.
Deficit Francia, Macron sconfitto
C’è grande scetticismo in giro per il mondo su Parigi. Lo sanno tutti, a partire da Macron. Dopo sette anni abbondanti passati a parlare di riduzione delle tasse per rilanciare l’economia, il suo ultimo coniglio estratto dal cilindro sconfessa questa impostazione. Per tagliare il deficit della Francia l’Eliseo dovrà rimangiarsi la parola data. E Barnier non è un pupazzo alla Attal, bensì un politico esperto e con un pedigree consolidato di alto funzionario a Bruxelles. La scelta è ricaduta sul suo nome proprio perché l’unico apparentemente capace di navigare in acque agitate e senza etichette di partito eccessivamente ingombranti in una situazione fluida qual è quella francese di questi mesi.