Giovedì 16 marzo, la Banca Centrale Europea (BCE) ha annunciato il sesto aumento dei tassi d’interesse consecutivo. Il saggio di riferimento è salito al 3,50% e sui depositi bancari al 3%. A differenza del comunicato di febbraio, il board non si è vincolato ad alcuna mossa precostituita per la prossima riunione di inizio maggio. La crisi delle banche aveva fatto immaginare (sperare a qualcuno) che la stretta monetaria sarebbe stata più flebile, nell’ordine dei 25 punti base o 0,25%. Ma Francoforte ha voluto confermare l’approccio duro contro l’alta inflazione, che a febbraio è rimasta quasi stabile rispetto ai livelli del mese precedente.
Caos Francia su riforma pensioni
Ma la politica monetaria non è avulsa da tutto il resto. E’ vero, le banche centrali sono indipendenti nel portare avanti il loro operato. Ed è giusto che sia così. Tuttavia, questa indipendenza non va intesa come assoluta. Non è mai stato così e non lo sarà verosimilmente mai. Mentre la BCE prosegue con il suo aumento dei tassi sacrosanto, semmai avviato tardivamente e con scarsa convinzione, però la Francia brucia. Letteralmente. Parigi e le altre principali città transalpine sono prese d’assalto da settimane da centinaia di migliaia di manifestanti contro la riforma delle pensioni voluta dal presidente Emmanuel Macron.
Si sta aprendo una vera crisi istituzionale nel paese. La riforma è passata attivando l’articolo 49.3 della Costituzione, che ha consentito al governo di evitare il voto dell’Assemblea Nazionale. Non era mai accaduto nella storia della Quinta Repubblica. Un “vulnus” per le opposizioni e larghissima parte dell’opinione pubblica, che ha devastato l’immagine dell’Eliseo. Tra l’altro, la sopravvivenza del governo ad una mozione di sfiducia si è resa possibile per soli nove voti di maggioranza arrivati dalle file dei Repubblicani, una forza di destra formalmente all’opposizione.
Vi chiederete cosa c’entri l’aumento dei tassi con le piazze movimentate della Francia. Il legame si rivela più diretto di quanto immaginiamo. Il caso Credit Suisse sta scuotendo il panorama bancario europeo. Prima del salvataggio ad opera delle autorità svizzere, le banche francesi erano state le più colpite in borsa, con cali anche in doppia cifra in un’unica seduta. Venerdì è arrivato lo spauracchio di Deutsche Bank e per fortuna di Parigi l’attenzione dei mercati si è spostata in Germania.
Presto sarà stop ad aumento tassi BCE
Ora, l’aumento dei tassi BCE sembra essenziale per battere l’inflazione, ancora altissima. D’altra parte, rischia di travolgere le banche, nei cui bilanci ci sono tanti asset acquistati a prezzi elevati e svalutatisi con la stretta dell’ultimo anno. Il rischio è che qualche altra banca europea alzi bandiera bianca e il governo di uno degli stati comunitari debba salvarla con denari pubblici. Immaginate se uno scenario del genere si verifichi in Francia. Mentre Macron alza l’età pensionabile di due anni e i due terzi della popolazione sono contrari, lo stato spende quattrini dei contribuenti, cioè degli stessi scioperanti, per mettere in sicurezza i conti gestiti da dirigenti milionari e “furfanti” agli occhi della popolazione.
A quel punto, il sistema democratico andrebbe in tilt. Sacrifici ai più e soldi a favore dei soliti noti. Una situazione ingestibile. La Francia è patria di ghigliottinamenti e deposizioni di monarchi troppo pieni di sé. Non siamo più nel diciottesimo o nel diciannovesimo secolo, ma l’indole rivoluzionaria dei francesi sembra intatta. E nessuna istituzione è mai realmente in salvo se va contro l’umore popolare.
Dunque, sarà Macron ad alzare prima o poi il telefono per chiamare Christine Lagarde, governatore della BCE e come lui francese.