A 73 anni è il primo ministro più anziano ad essere stato nominato nella storia della Quinta Repubblica. Il suo nome è uscito fuori dal cilindro del presidente Emmanuel Macron dopo due mesi dalle elezioni anticipate. Michel Barnier è considerato all’infuori della Francia un osso duro, specie per come ha negoziato la Brexit con il Regno Unito di Boris Johnson per conto dell’Unione Europea. Ma quelle trattative forse gli risulteranno una passeggiata rispetto al compito ben più ingrato che si trova ad espletare da capo del governo francese.
Conti pubblici francesi allo sbaraglio
Questo non sarà per tutti i contribuenti. Barnier ha precisato che certamente non riguarderà le fasce di reddito più basse e neppure la classe media. Non ha escluso, però, l’ipotesi che arrivi una stangata a carico dei contribuenti più ricchi e delle grandi imprese. L’esatto opposto di quanto aveva promesso sinora Macron sin dal suo ingresso all’Eliseo nel 2017. Tant’è che l’ex premier Gabriel Attal, rimasto indispettito con il presidente per lo sgambetto delle elezioni anticipate, da leader del partito centrista ha escluso di poter votare una manovra che includa l’aumento delle tasse. Lo stesso ha dichiarato l’ex ministro dell’Interno, Gérald Darmanin.
L’anno scorso, il deficit fiscale fu pari al 5,5% del Pil, sopra il 4,9% programmato dal governo. Per quest’anno è stimato in crescita al 5,6%. E l’anno prossimo, in assenza di correttivi, è atteso al 6,2%. Macron ha promesso che il deficit scenderà sotto il 3% entro il 2027, l’ultimo anno della sua presidenza. Gli analisti hanno calcolato che per centrare l’obiettivo serviranno ben 110 miliardi di euro in tre anni. Numeri da fare tremare i polsi e che devono in qualche modo essere trovati.
Governo senza maggioranza, Le Pen decisiva
Il problema di Barnier consiste principalmente nel guidare un governo senza maggioranza. Alle elezioni di luglio, il blocco di sinistra (Nuovo Fronte Popolare) arrivò primo, ma lontanissimo dalla maggioranza assoluta dei seggi. Peraltro, non esiste più, essendo stato solamente un cartello elettorale. Il blocco centrista è arrivato secondo e terzo si è attestata la destra sovranista di Marine Le Pen, che aveva vinto il primo turno. Adesso, proprio la “dama nera” tiene in vita l’esecutivo. A sinistra c’è rabbia per la nomina di un primo ministro considerato troppo di destra. Jean-Luc Mélénchon, leader di France Insoumise, ha annunciato una mozione di sfiducia per il mese di ottobre. Potrà passare solo se appoggiata dai lepenisti, i quali non hanno alcuna intenzione di aiutare coloro che si sono fatti aiutare dai macroniani nei collegi per prevalere.
Il Rassemblement National non sostiene formalmente il governo, ma ne consente l’esistenza con l’astensione in aula. Questo non sarà gratis. Anzitutto, chiede che Barnier lo riconosca ufficialmente come un interlocutore e ponga fine a quell’isolamento da cordone sanitario, agitato con sempre minore efficacia come uno spauracchio. E Le Pen non accetterà alcun aumento delle tasse a carico del ceto medio. Lo ha già dichiarato. Così come la sinistra, chiede anche lo smantellamento della riforma delle pensioni. Impossibile per Barnier, che da premier “tecnico” non può fornire anche solo l’impressione di essere fiscalmente lassista.
Rischio boomerang da aumento tasse
Lo spread tra Oat e Bund a 10 anni è risalito ai massimi da inizio luglio, quasi a 80 punti base o 0,80%. Le distanze con i BTp non erano state così basse sin dalla primavera del 2010, prima che esplodesse la crisi dello spread.