Il franco svizzero è sempre più forte contro l’euro. Ieri, scambiava a 1,044, pur più debole rispetto ai livelli toccati la settimana scorsa, quando il cross era sceso sotto 1,04. A settembre, meno di tre mesi fa, scambiava sopra 1,09. La recrudescenza del Covid in Europa da un lato e la diffusione della variante Omicron dall’altro stanno sostenendo l’appetito del mercato per i “safe asset”.
A novembre, il cambio minimo informale di 1,05 è stato infranto per la prima volta dal 2015. Ci si sarebbe aspettati che la Banca Nazionale Svizzera (BNS) avrebbe fatto di tutto per difenderlo, ma non è stato così.
Per giungere all’obiettivo, la BNS ha più volte acquistato sul mercato valutario divise straniere. La riprova si ha attraverso i dati sui depositi a vista. Questi sono lievitati a quasi 647 miliardi di franchi al 3 dicembre scorso, in crescita dai 644,3 miliardi di un mese prima. Si tratta del denaro che le banche elvetiche depositano presso la BNS e che rifletterebbe grosso modo le cessioni di valuta estera a quest’ultima. Si evince, comunque, che nel bel mezzo del rafforzamento del cambio, gli acquisti di valuta estera non sarebbero stati elevati da parte della BNS.
Franco svizzero, cambio di strategia alla BNS?
Per quale ragione non starebbe intervenendo per difendere il cambio minimo? Probabilmente perché adesso lo spauracchio non è più la deflazione, bensì l’inflazione. Anche grazie al super franco svizzero, la crescita dei prezzi al consumo è stata relativamente contenuta nell’economia alpina, salita all’1,5% a novembre dal -0,5% di gennaio.
D’altra parte, non dimentichiamo che un anno fa, prima di lasciare la Casa Bianca, l’amministrazione Trump inserì la valuta elvetica nella “black list” del Tesoro USA, accusando Berna di manipolare il tasso di cambio, danneggiando l’economia americana sul piano commerciale. Probabile, quindi, che la BNS non voglia irritare più di tanto l’alleato americano, sebbene la nuova amministrazione si sia dimostrata più tollerante sul tema.