Furbetti del cartellino: non solo arresto, si rischia sequestro del conto in banca

Per i furbetti del cartellino scatta anche il sequestro del conto in banca oltre al licenziamento e all’arresto per truffa ai danni dello Stato.
5 anni fa
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Tempi duri per i furbetti del cartellino. Da Nord a Sud la piaga endemica dei dipendenti pubblici che timbrano prima l’entrata al lavoro e poi se ne vanno a spasso o a fare altre cose per le quali non sono pagati è dura a morire. L’Italia in questo senso vanta un primato assoluto in Europa pr casi accertati.

Detto questo, è bene sapere che i tempi sono cambiati e forse non tutti sanno che oggi l’assenteismo sul posto di lavoro statale è punito severamente.

Non c’è solo il licenziamento e la denuncia penale, ma anche il sequestro di conti correnti e la confisca di beni mobili. Tutto si fonda sulla gravità del reato e sul fatto che l’assenteismo del dipendente statale reca un danno alla collettività che paga per i servizi che dovrebbero essere svolti da chi furbescamente si allontana dal posto di lavoro senza permesso.

La sospensione dal servizio e il licenziamento

Recentemente ha fatto notizia la sospensione di 31 statali e del sequestro immediato dei loro conti correnti. E’ successo a Brindisi, dove i finanzieri del Comando Provinciale, coordinati dalla locale Procura della Repubblica e su disposizione del G.I.P. del medesimo Tribunale, al termine di una complessa attività investigativa, hanno dato esecuzione ad un provvedimento di sospensione dall’esercizio di pubblico servizio emesso nei confronti di 31 dipendenti pubblici della Regione Puglia da un minimo di quattro mesi ad un massimo di dieci. Le nuove regole, però, imposte dal decreto correttivo (numero 124 del 2015 o legge Madia), prevedono anche il licenziamento entro 30 giorni per i dipendenti colti in flagranza.

Il sequestro dei conti correnti

Contestualmente, le fiamme gialle hanno sottoposto a sequestro i conti correnti degli indagati, al fine di recuperare le somme indebitamente percepite a fronte di prestazioni lavorative mai eseguite. Durante il periodo monitorato (luglio – novembre 2018) è stata accertata l’indebita percezione di emolumenti per un importo pari a circa 35.000 euro.

Gli impiegati, dopo aver attestato, con il proprio “badge” personale, l’ingresso sul luogo di lavoro ovvero “timbrando” anche per conto di colleghi assenti, si allontanavano dagli uffici, anche più volte nel corso della giornata, per motivi esclusivamente personali (per spese presso locali commerciali, per accompagnare figli a scuola o, semplicemente, per sostare all’esterno della sede di lavoro).

La denuncia penale

Ma non finisce qui. Il dipendente assenteista dovrà anche affrontare il processo penale. Sul piano giuridico, infatti, la falsa timbratura del cartellino è inquadrabile nell’ambito del reato di truffa ex art. 640 c.p., aggravata ai danni dello Stato o di ente pubblico. La pena prevista è quella della reclusione da uno a cinque anni e della multa da trecentonove euro a millecinquecentoquarantanove euro a seconda della gravità del fatto. Il dipendente pubblico colto in flagranza, quindi, si vedrà non solo sequestrare in via preventiva il conto corrente o i beni a lui intestati per risarcire il danno erariale, ma anche perdere il posto di lavoro e affrontare un procedimento penale con ulteriori spese di giudizio e risarcimento danni di immagine alla parte lesa, cioè il datore di lavoro. Senza considerare che dovrà spendere altri soldi per farsi assistere in giudizio da un avvocato.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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