Ricordate il marchio Omnitel, gli spot di Megan Gale con quel “tutto intorno a te” che fecero storia tra la fine degli anni Novanta e inizi Duemila? Quel mondo non esiste ormai da un lungo pezzo. Facile fare leva sulla nostalgia dei bei tempi che furono. Il punto è che le telecomunicazioni non sono più da molto tempo un business italiano. E’ di questi giorni la notizia che Swisscom ha offerto 8 miliardi di euro per rilevare il 100% di Vodafone Italia. Il closing dell’operazione è atteso entro il primo trimestre del 2025. Successivamente, la società elvetica procederà alla fusione con Fastweb. Si prenderà una quota di mercato pari al 27,4% per il mobile e al 16,2% per il fisso.
I dati sono riferiti al 30 giugno del 2023.
Telecomunicazioni, anche Vodafone Italia straniera
Malgrado il nome, Vodafone Italia non è italiana da oltre un ventennio, cioè da quando Olivetti vendette la sua partecipazione al gruppo tedesco Mannesmann. A seguito della fusione tra questi e Vodafone Air Touch, la compagnia italiana è finita a fare parte del gruppo britannico. Diciamo che finora, comunque, è esistita una discendenza diretta tra la vecchia Omnitel e l’attuale denominazione societaria. Con l’acquisizione di Swisscom, scomparirà anche questo legame. Tra pochi anni, non avremo più neanche Vodafone Italia.
Disastro Tim sin dalla privatizzazione
Le vicissitudini del mercato delle telecomunicazioni in Italia non si limitano certamente a questa storia. Il caso più eclatante e anche più straziante riguarda niente di meno che Tim, ex Telecom Italia e già Sip.
Dalla privatizzazione del 1997 uno dei principali asset strategici del Bel Paese è andato dissolvendosi, spolpato dalla finanza internazionale dopo essere stato disossato da un gruppo di “capitani coraggiosi” italici. Vari passaggi di mano e dopo essere diventato spagnolo, adesso è in mano ai francesi di Vivendi. Ed entro l’estate la rete sarà scorporata e ceduta al fondo americano Kkr.
Scomparsi tutti gli imprenditori nazionali
E vi ricordate di Blu, quella del “il futuro che non c’era”? Pubblicità a go-go, ma l’esperienza durò appena un triennio, tra il 1999 e il 2002. Fu il tentativo portato avanti da un gruppo di imprenditori perlopiù nostrani (Mediaset, Benetton, Autostrade per l’Italia e la britannica BT) di fare business nelle telecomunicazioni. Andò male e chiuse battenti.
Anche Wind era italiana. Fece da terzo incomodo nel duopolio tra Tim e Omnitel-Vodafone a inizio millennio. Oggi si chiama Wind-Tre e risulta controllata dal gruppo cinese di Hong Kong, Hutchison Holdings. Negli ultimissimi anni, sul mercato delle telecomunicazioni si è affacciato un altro operatore: Iliad. Ed è anch’esso francese.
Capitalismo italiano senza capitali e pigro
In pratica, l’Italia non ha un solo imprenditore capace di gestire uno dei settori strategici del nuovo millennio. Telecomunicazioni non è soltanto video-chiamate e messaggi. Significano rete in fibra ottica, cavi, digitalizzazione, internet, futuro dell’economia. Non a caso il governo italiano può esercitare la “golden power”. Come del resto accade in tutto il resto del mondo. Non si tratta di ambire al nazionalismo economico, né a chiudere il mercato agli investimenti stranieri. Per quanto altri facciano così, vedasi il caso francese. Ma il punto è un altro: possibile mai che il capitalismo italiano non disponga di capacità umane, tecnologiche e quattrini per stare al passo con i tempi? Possibile che non vada oltre alla gestione – e non sempre esemplare – delle società create dalle precedenti generazioni?
Abbiamo voglia di abbaiare alla luna, di prendercela con francesi, americani, britannici, tedeschi e spagnoli. Se poi mancano soggetti nazionali interessati alla gestione delle telecomunicazioni, l’unica alternativa sarebbe nazionalizzare e far gestire tutto allo stato. Ed è evidente che si tratterebbe di una scelta sciagurata da ogni punto di vista. Il peccato originale risiede nelle