Le cattive notizie per i titoli del debito comune europeo continuano. La piattaforma exchange tedesca Eurex, una borsa attiva per la negoziazione di contratti derivati, ha deciso di rinviare il lancio dei primi futures sugli Eurobond. La società lo aveva previsto per la fine di quest’anno, ma ha annunciato prima di voler verificare prima che le emissioni proseguiranno anche successivamente al 2026, data di scadenza per il Next Generation EU. Solo nel caso affermativo offrirà un prodotto sulla scadenza decennale.
Cosa sono questi contratti derivati
Nei mesi scorsi, Intercontinental Exchange (ICE) e MSCI avevano negato l’inserimento degli Eurobond nei rispettivi indici. E anche in quel caso, la decisione era arrivata per i dubbi sulle emissioni future. Tuttavia, ICE ha annunciato che offrirà futures sugli Eurobond.
I futures sono contratti derivati che permettono a due parti di fissare un prezzo di acquisto/vendita di un asset a (o entro) una data scadenza. Servono sia come strumento di protezione rispetto alla volatilità dei prezzi, sia anche per specularvi sopra. Di fatto, la parte che si obbliga all’acquisto, scommette che il prezzo fissato dal contratto risulti inferiore a quello di mercato. In quel modo, rivenderebbe il sottostante con un margine di guadagno immediato. Viceversa, la parte che si obbliga alla vendita spera che il prezzo di mercato risulti inferiore a quello fissato con la controparte. Potrà acquistarlo a un costo inferiore a quanto lo venderà per adempiere al contratto.
Liquidità ancora carente
I futures sugli Eurobond garantirebbero al mercato maggiore liquidità. A sua volta, essa si rivelerebbe importante per consolidare la fiducia degli investitori verso questi strumenti del debito.
Futures su Eurobond più lontani
Il rinvio del lancio per i primi futures sugli Eurobond è un duro colpo per la credibilità degli stessi. Non a caso, i rendimenti sono superiori a quelli tedeschi lungo la curva dei tassi. Ciò denota che il mercato li consideri più rischiosi dei Bund, ma più che altro si tratta di una minore liquidità con riflessi negativi sui prezzi. Gli stessi importi netti annualmente emessi sono relativamente esigui per fare di questi strumenti “safe asset“ a tutti gli effetti.