Si parla spesso di divario di genere (gender gap) in fatto di pensioni fra uomini e donne. Si dice e forse fa comodo dirlo che le donne sono troppo penalizzate e che gli uomini guadagno di più e hanno pensioni più alte.
Ebbene, è il caso di fare chiarezza e vedere bene come stanno le cose. Perché un conto è strombazzare qualcosa un tempo era così e un conto è analizzare in concreto i numeri. Soprattutto alla luce della conquista della parità dei diritti nel nostro Paese.
Gender gap e pensioni
Come evidenzia il nono Rapporto di Itinerari Previdenziali, dire che le donne ricevono, in media, assegni di gran lunga più bassi rispetto a quelli degli uomini non trova conferma nel Casellario Centrale Pensionati Inps.
Più nel dettaglio, il Rapporto evidenzia che nel 2020 le donne rappresentavano il 51,8% dei pensionati e percepivano il 43,8% dell’importo lordo complessivamente pagato per le pensioni. Considerando il numero di pensionate, la rendita annua delle donne arrivava a 16.233 euro contro i 22.351 euro degli uomini.
E fin qui sembra che le donne siano più penalizzate degli uomini. Ma da una attenta analisi emerge che le donne percepiscono un maggior numero di pensioni pro-capite, in media 1,51 prestazioni a testa, a fronte dell’1,32 degli uomini. Rappresentano infatti il 58,6% dei titolari di 2 pensioni, il 68,6% dei titolari di 3 pensioni e il 70,5% dei percettori di 4 e più trattamenti.
Donne penalizzate, ma meno di quanto si dica
Non solo, le donne sono tra i maggiori percettori di pensioni ai superstiti (87%) che normalmente sono di importo modesto perché ridotto generalmente del 40% rispetto alla pensione del coniuge titolare. Come scrive Micaela Camilleri di Itinerari Previdenziali,
“Affermare, dunque, in modo non analitico ma con elementare operazione di divisione, che le donne ricevono una prestazione di gran lunga minore rispetto agli uomini è, sì corretto dal punto di vista formale, ma non da quello sostanziale”.
Questo non significa che non ci sia gender gap, ma che tale divario non è così ampio che si vuole ripetutamente si vuole far credere. Una comparazione di prestazioni di identica tipologia metterebbe infatti in evidenza differenze minime.
Le pensioni sono infatti il risultato di una vita lavorativa. L’andamento del mercato in Italia evidenzia purtroppo ancora differenze nel tasso di occupazione fra donne e uomini (49% contro il 67,2% nel 2020) e relativi livelli di carriera. Ciò comporta diversi livelli di contribuzione che si riflettono sulla prestazione previdenziale.