L’Argentina è fresca di vittoria ai campionati del mondo di calcio. Si gode giustamente il momento di gloria dopo decenni di frustrazioni e due finali perse entrambe le volte con la Germania. La Nationalmannschaft, invece, a questo giro non ha entusiasmato nessuno. Anzi, non era mai andata così male a un’edizione mondiale. Ma qui non stiamo a parlare di calcio, bensì di un altro raffronto tra le due nazioni sopra citate. Tra Berlino e Buenos Aires intercorre una distanza di oltre 11.900 km, all’incirca quasi ventuno volte quella che si ha tra Roma e Milano.
Gli ultimi dati ufficiali risalenti al terzo trimestre dello scorso anno ci dicono che in Germania ci sono 77,3 persone che lavorano su ogni 100 in età lavorativa (15-64 anni). È uno dei dati più alti al mondo. Se, invece, rapportiamo il numero dei lavoratori a quelli dell’intera popolazione residente, otteniamo uno sbalorditivo 1,82. In altre parole, pur conteggiando neonati, minori, studenti, anziani e invalidi, esiste una persona che lavora su neppure due esistenti. In Italia, tanto per fare un confronto, scendiamo a una persona che lavora ogni 2,6 residenti. Effettivamente, il tasso di occupazione da noi è solo al 60%. E dire che siamo saliti al massimo storico.
E in Argentina? Quella che fino agli anni Cinquanta del secolo scorso era una delle più ricche economie del mondo, tanto da attirare milioni di immigrati italiani, oggi conta una popolazione di quasi 46 milioni di abitanti, a fronte dei quali lavorano in meno di 12 milioni, circa uno su quasi quattro residenti. Certo, la demografica è diversa. Gli argentini sono mediamente più giovani e fanno più figli.
Bassa occupazione figlia e madre della crisi argentina
Chiaramente, non stiamo sottintendendo che gli argentini siano scansafatiche. In fondo, se molti di loro non lavorano e neppure cercano un’occupazione è perché non c’è nulla da produrre. Mancano le condizioni istituzionali per investire e fare impresa. Non è un mistero che l’Argentina sia un’economia mal gestita. Passa da un default all’altro senza neppure cercare di porre rimedio agli errori passati. Da circa settanta anni, il Fondo Monetario Internazionale le offre un’assistenza finanziaria quasi incessante, mentre il governo di Buenos Aires utilizza ogni dollaro a disposizione per fare a sua volta assistenza sociale spicciola. Le decine di miliardi di aiuti internazionali finiscono regolarmente nel buco nero degli sperperi.
Ciò spiega il netto contrasto anche sul piano fiscale con la Germania. Il governo tedesco spende entro i limiti delle disponibilità di bilancio e destina essenzialmente i fondi a sostegno della crescita economica e ai servizi pubblici. Gli sprechi sono ridotti all’osso, ma paradossalmente Berlino può proprio per questo permettersi un’assistenza sociale molto più evoluta e generosa di quasi qualsiasi altro stato nel mondo. L’alta occupazione tedesca non è solo figlia della maggiore propensione al lavoro, quanto anche delle condizioni strutturali esistenti per produrre. Abbiamo da un lato un esempio di efficienza amministrativa, dall’altro di lassismo a tutto tondo.
Al di là delle valutazione squisitamente tecniche, nessuno finanzia a cuor leggero il debito pubblico argentino, se non altro perché tutti sanno che a garantirlo sia un’occupazione infima, a sua volta espressione di scarsa vivacità economica.