Colpo di scena, signore e signori. Dopo oltre un decennio di “nein” opposti ai partner dell’Area Euro a ogni occasione possibile e immaginabile, adesso è la Germania di Olaf Scholz ad invocare gli Eurobond. Il cancelliere tedesco, in linea con la posizione del suo Partito socialdemocratico (SPD), vorrebbe così reagire ai sussidi dell’amministrazione Biden a favore della transizione energetica. E, pertanto, riconosce la necessità di istituire un fondo europeo ad hoc, così da consentire anche ai paesi comunitari con minori disponibilità di bilancio di non restare indietro nella lotta ai cambiamenti climatici.
L’IRA di Biden spiazza l’Europa
Nei mesi scorsi, gli Stati Uniti hanno varato il cosiddetto “Inflation Reduction Act” (IRA), un complesso di leggi da 738 miliardi di dollari, di cui 391 destinati a finanziare la transizione energetica. In estrema sintesi, la Casa Bianca punta a rimpatriare almeno gran parte delle filiere produttive attraverso sussidi generosi alle aziende multinazionali. E finanzierà la svolta con maxi-incentivi anche a favore dei consumatori americani. Tra l’altro, potranno ottenere un bonus di 7.500 dollari per l’acquisto di un’auto elettrica nuova e di 4.500 dollari per una usata. Ovviamente, Made in USA.
La Germania teme che la sua industria automobilistica rimanga schiacciata dalla concorrenza “sleale” degli Stati Uniti. L’Unione Europea non dispone, infatti, di un proprio bilancio con cui contrapporre iniziative simili. Anzi, la disciplina sugli aiuti di stato lega le mani agli stati nazionali, pur temporaneamente sospesa a causa della pandemia. Per questo, adesso invoca gli Eurobond nel malcelato tentativo di mascherare i propri interessi nazionali. Una mossa che, però, finisce per convenire a tutti. Sarebbe l’unico modo possibile per evitare che, con il pretesto della svolta ambientalista, gli Stati Uniti sbaraglino la concorrenza europea.
La bilancia commerciale pende ad oggi nettamente a favore della UE, che nel 2022 ha riportato verso gli Stati Uniti un avanzo per i soli beni nell’ordine dei 200 miliardi di dollari. Washington vuole riequilibrare le relazioni e approfitta del “green deal” per rilanciare la propria industria. Agli stati del Sud Europa, Italia in testa, conviene più che mai l’istituzione di un nuovo fondo comune finanziato da Eurobond. Ciò sgraverebbe i bilanci nazionali, già oberati da debiti, e ridurrebbe il rischio sovrano percepito sui mercati. Non a caso, lo spread è crollato nelle ultime sedute.
Eurobond osteggiati nel Nord Europa
Ma la strada per gli Eurobond sarà tutt’altro che in discesa. La Germania dovrà convincere i partner del Nord Europa, oltre che la stessa opinione pubblica tedesca. Quest’ultima è stata foraggiata negli anni passati a colpi di cliché contro le “cicale” del Sud Europa. Sarà difficile per i socialdemocratici ribaltare la narrazione prevalente, che per convenienza di bottega è stata predominante, se non totalizzante, ad oggi. I governi tedeschi avevano dipinto gli Eurobond come lo stratagemma studiato da stati come l’Italia per scaricare i loro debiti sui contribuenti virtuosi del Nord.
L’opposizione si annuncia rovente da parte di Svezia, Olanda e Austria, in particolare. Una possibile scappatoia temporanea sarebbe la proposta non ufficiale ventilata dalle parti di Berlino: utilizzare i fondi non spesi del Recovery Fund. Sarebbe un’ipotesi di respiro corto. Serviranno risorse ingenti per finanziare la transizione energetica, di fatto sussidiando pesantemente interi pezzi di industria europea. La stessa Berlino è consapevole di non disporre tutti i margini di manovra fiscali necessari, specie dopo avere destinato 200 miliardi di euro al caro bollette. E i tedeschi non intendono trasformarsi in un paese qualunque, né rischiare di sottoporsi al giudizio severo dei mercati come accadde nei mesi scorsi al Regno Unito di Liz Truss.