Una data a suo modo storica quella di oggi per la Germania e il resto dell’Unione Europea. Il Bundestag voterà in queste ore per mollare il famigerato “freno al debito” (“Schuldenbremse”). Si tratta di una regola costituzionale voluta nel 2009 dall’allora maggioranza di centro-destra a sostegno della cancelliera Angela Merkel. Prevede che lo stato tedesco non possa spendere in un anno più dello 0,35% del Pil rispetto alle sue entrate. Di fatto, lega le mani al governo sulla possibilità di indebitarsi. Un secondo voto si renderà necessario venerdì prossimo.
Via freno al debito, boom rendimenti tedeschi
Una regola che sarà allentata per consentire alla Germania di spendere 900 miliardi di euro in deficit in 10 anni tra riarmo e investimenti infrastrutturali.
Questo è il piano di Friedrich Merz, vincitore delle elezioni federali a febbraio e cancelliere “in pectore”. Un accordo in tal senso è stato trovato con i socialdemocratici e negli ultimi giorni anche con i Verdi. I secondi hanno fatto un po’ di teatro quando hanno palesato la loro ostilità al piano, salvo negoziare per ottenere 100 miliardi di investimenti green.
Il voto di oggi sul “freno al debito” richiederà la maggioranza dei due terzi. I numeri ci sono con il Bundestag uscente, mentre mancano se si fa riferimento alla nuova composizione scaturita dalle urne. Per questo Merz ha deciso di convocare d’urgenza il primo, una forzatura costituzionale che evidentemente non ha allarmato i sempre attenti tutori delle procedure democratiche. La decisione è stata ben accolta, invece, nel resto d’Europa. Da molti anni i partner della Germania e la Commissione premevano su Berlino perché spendesse di più e sostenesse così indirettamente l’economia di tutto il continente.
Il solo effetto annuncio ha avuto conseguenze devastanti sul mercato obbligazionario. I rendimenti tedeschi sono esplosi e per Goldman Sachs arriverebbero fino al 3,75% per la scadenza decennale. Per fortuna gli spread si sono compressi, tanto che il BTp a 10 anni tratta in questi minuti a +104 punti base sul Bund di pari durata. In valore assoluto, però, i costi di emissione rischiano di salire per tutti i governi. E’ lo scotto da pagare per una politica fiscale più espansiva in Europa.
Flessibilità dopo anni di conti in attivo
Se guardassimo alle cose senza spirito critico, diremmo che la Germania oggi può mollare il freno al debito dopo avere fatto la formica a lungo. Dispone di margini di intervento sui conti pubblici ignoti a stati come Italia e Francia. Tutto vero. Ma il voto di oggi segna la fine di una grande ipocrisia tedesca. Berlino impose al resto dell’Unione Europea la sua visione di politica fiscale e finanche pretese di codificarla nella propria stessa Costituzione. Roma dovette seguirne l’esempio con la formulazione del pareggio di bilancio all’art.81. Mai seguita, ad essere sinceri; perché si sa che noi italiani siamo lesti ad accettare qualsivoglia condizione, salvo disattenderla.
Dai tedeschi ci saremmo aspettati maggiore serietà.
E’ vero che tra il 2014 e il 2019 la Germania riuscì persino a chiudere i conti pubblici in attivo, un fatto più unico che raro per una grande economia mondiale. La politica dello “Schwarze Null” benedetta dall’allora ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, consentì una discesa del rapporto tra debito pubblico e Pil sotto il 60% prima del Covid. Grazie ad essa, oggi lo stato tedesco può spendere e gli altri no.
Germania miope o opportunista?
Eppure, le regole sono regole, specie se costituzionali. Con il freno al debito del 2009, la Germania si era impegnata ufficialmente a perseguire una politica di rigore fiscale. Appena 16 anni dopo, cambia idea. Legittimo, ma opinabile. I tempi cambiano, sebbene la Costituzione sia redatta generalmente per rimanere intatta diversi decenni, se non secoli. Questo svela che la politica tedesca sia miope o opportunista. In effetti, o ha sottovalutato la necessità di ricorrere al debito in caso di necessità o fa con i conti pubblici ciò che le conviene al momento.
Fintantoché l’economia cresceva, nessuno poté convincere la Germania circa l’opportunità di irrobustire la domanda interna. Ci pensavano le esportazioni a sopperire alla carenza dei consumi delle famiglie. Ora che dazi, guerre e ancora prima il Covid hanno intaccato l’ambiente in cui l’economia tedesca aveva prosperato, si rottamano le vecchie regole e s’invoca “flessibilità”. Questo varrebbe per tutti. Ebbero ragioni simili gli altri stati europei negli anni passati quando reclamarono una diversa impostazione del Patto di stabilità e si videro rispondere con un laconico “fate le riforme e zitti”.
Freno al debito e perdita di autorevolezza
E la Germania ha fatto le sue riforme? Non sembra proprio. Ha vivacchiato (meglio degli altri), avvalendosi di una moneta unica relativamente debole per i suoi fondamentali. Non ha puntato sull’innovazione, né sulla libertà del mercato interno, né ancora sullo snellimento della burocrazia. Si è accontentata di essere un pelo sopra gli altri per attirare capitali dall’estero. Il freno al debito era stato propinato come benchmark per l’intera Eurozona, mentre oggi è finito per svelarne l’opportunismo di chi crede di poter cambiare le carte in tavola da un momento all’altro, adattandole alle proprie esigenze. La Germania oggi tradisce chi aveva creduto alla genuinità della sua visione. Difficile che d’ora in avanti possa reclamare la stessa autorevolezza che ha preteso di avere in tutti questi anni.