Le conseguenze del voto tedesco in Europa
Il quotidiano economico Handelsblatt, giocando con le lettere, ha definito la vittoria degli euro-scettici dell’AfD (Alternativa per la Germania) una “Aufstand” (“rivolta”) per la Germania in cabina elettorale. Già, ma contro cosa? A sentire gli analisti in patria e all’estero, non sembra difficile capirlo. Qui, non c’è certo aria di insoddisfazione per lo stato di salute dell’economia, che versa nelle migliori condizioni dalla caduta del Muro. La Merkel è stata punita essenzialmente per due ragioni: la sua politica dell’accoglienza illimitata del 2015-2016, quando mezzo milione di profughi fu fatto entrare in Germania in poche settimane, nonché per la scarsa riconoscibilità del suo centro-destra, che governando piuttosto stabilmente ormai con il principale partito di centro-sinistra, è finito per imitarlo.
Se questo è vero, dal voto ne esce rafforzata l’ala destra dei conservatori, specie i conservatori bavaresi della CSU, che da sempre esprimono posizioni critiche verso lo spostamento a sinistra dell’asse programmatico della coalizione. Si tratta di una pessima notizia per il presidente francese Emmanuel Macron, che da queste elezioni si aspettava una sorta di benedizione per le sue proposte di riforma della UE, tra cui il ministro delle Finanze unico e un bilancio comune nell’Eurozona. Se non sono già morte, possiamo considerarle moribonde, perché gli stessi liberali, con cui i conservatori saranno costretti a governare, si dicono contrarissimi alla sola ipotesi. E difficilmente cederanno sui punti-chiave del loro programma, volendo evitare il rischio di uscire nuovamente fuori dal Bundestag, ora che ci è entrata per la prima volta dal Secondo Dopoguerra una formazione di destra, che strumentalmente gli altri schieramenti definiscono “nazista”, ma i cui proclami non sono così differenti di quelli dell’FDP, se non nei toni euro-scettici.
E il voto tedesco ha inevitabili conseguenze anche sul resto d’Europa.