E’ finita un’era per il Giappone e il mondo intero con l’annuncio di Tokyo di qualche ora fa della fine dei tassi negativi. La banca centrale, che da meno di un anno è guidata dal nuovo governatore Kazuo Ueda, ha alzato il costo del denaro da -0,10% a 0-0,10%. Allo stesso tempo, ha reso noto di avere cessato il controllo della curva dei rendimenti sovrani. Ciononostante, continuerà ad acquistare bond per l’importo attualmente fissato in 6.000 miliardi di yen al mese, poco meno di 40 miliardi di dollari al tasso di cambio attuale.
Fine dei tassi negativi col ritorno dell’inflazione
A seguito della notizia, i rendimenti sovrani lungo la curva si sono contratti e lo yen si è indebolito contro il dollaro, tornando sopra al cambio di 150 per la prima volta dal 5 marzo scorso. Movimenti apparenti paradossali, visto che sarebbe dovuto accadere l’esatto contrario. Come sappiamo, i mercati tendono ad anticipare le notizie e a muoversi in direzione opposta quando queste vengono confermate.
La fine dei tassi negativi arriva dopo un lungo esperimento monetario avviato nel 2007 e che culminò nel 2016 con l’adozione dell’attuale politica della Banca del Giappone. L’intento dell’ex governatore Haruhiko Kuroda era stato di portare fuori l’economia nipponica dalla deflazione. Tra l’altro, fu anche raddoppiato il target d’inflazione al 2%. E la crescita dei prezzi al consumo è stata di recente più sostenuta, tanto che l’indice “core” supera il 2% tendenziale da oltre un anno.
Si riduce la divergenza monetaria con l’Occidente
Ci saranno possibili implicazioni per il resto del mondo. I tassi negativi del Giappone erano rimasti un unicum nel panorama globale dopo la stretta monetaria avviata in Occidente nel 2022. La divergenza ha portato alla caduta dello yen. I capitali si sono spostati dal Sol Levante verso economie come Europa e Nord America in cerca di rendimenti più alti. Adesso che anche il Giappone normalizza la sua policy, probabile che i flussi s’interromperanno. Ne pagherebbero il prezzo i bond sovrani e corporate europei e nordamericani.
C’è da dire, comunque, che la stessa Banca del Giappone ha fatto presente che non s’imbatterà in una stretta aggressiva. E’ semplicemente accaduto che abbia posto fine ai tassi negativi. Nei prossimi mesi, la pressione sullo yen si farà verosimilmente meno intensa. Le altre principali banche centrali inizieranno a tagliare i rispettivi tassi di interesse e le distanze con Tokyo si accorceranno. Tutto questo renderà in apparenza superfluo per Ueda ricorrere ad aumenti drastici dei tassi e al taglio degli acquisti dei bond.
I rendimenti in Giappone restano sotto sorveglianza
Cosa significa, invece, la fine del controllo della curva dei rendimenti sovrani? Sin dal settembre del 2016 e fino al dicembre del 2022, i tassi a breve termine (2 anni) potevano muoversi attorno al -0,10% e i tassi a lungo termine (10 anni) attorno allo zero.
Il Giappone non accetterà facilmente che tali rendimenti s’impennino con la fine dei tassi negativi e l’abbandono del controllo della curva. Il debito pubblico vale circa il 260% del Pil, anche se intorno alla metà di esso è nelle mani proprio della banca centrale. Un eventuale boom dei rendimenti farebbe esplodere la spesa per interessi e rischierebbe di provocare una crisi fiscale. Ecco spiegata l’eccessiva prudenza con cui Tokyo si è mossa in questi anni per normalizzare la sua politica.
Tassi negativi esperimento concluso
D’altra parte, sembra essere stata posta una pietra tombale ai tassi negativi. L’esperimento nell’Eurozona è durato otto anni e non ha prodotto risultati apprezzabili. L’inflazione è risalita solo a seguito di carenza di beni e crisi energetica tra pandemia e guerra. Né si ebbero effetti degni di nota sulla crescita del Pil nell’area, rimasta asfittica. Per questi motivi nessuno sembra rimpiangere quei tempi passati, a parte certamente i governi che poterono indebitarsi senza rendere conto a nessuno. Tokyo riporta tutti ufficialmente alla normalità.