L’ondata di proteste dei cosiddetti “gilet gialli” contro il presidente Emmanuel Macron in Francia non si arresta e sabato scorso si sono tenute diverse manifestazioni per l’ottava settimana consecutiva nelle principali città del paese, per quanto meno affollate delle precedenti. Circa 50.000 persone hanno sfilato ai cortei contro l’Eliseo, invocando le dimissioni di quello che ormai viene definito notte e giorno “il presidente dei ricchi”. Le violenze a Parigi non sono mancate, con un gruppo di manifestanti che ha bruciato le auto in sosta negli Champs-Elysées e ad assaltare il ministero del Lavoro con un carrello elevatore.
I gilet gialli segnano la fine di Macron e della tecnocrazia europea
E in queste ore sono arrivate le dichiarazioni di endorsement verso il movimento di protesta da parte dei due vice-premier italiani Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Il primo ha messo a disposizione dei gilet gialli l’organizzazione del Movimento 5 Stelle, a partire dalla piattaforma Rousseau, attraverso la quale i militanti grillini votano sulle varie proposte. Il secondo ha sottolineato come il sostegno della Lega sia massimo, condannando le violenze, “che non servono a nessuno”.
Tra Parigi e Roma è scontro a tutto campo. Il governo francese ha da poco annunciato la violazione del tetto del deficit del 3% rispetto al pil, innalzandolo per quest’anno al 3,2%, dopo avere stanziato 10 miliardi per placare le proteste con misure sociali, come la detassazione degli straordinari, l’aumento del salario minimo legale di 100 euro al mese e la soppressione degli aumenti contributivi sulle pensioni fino a 2.000 euro al mese, nonché delle accise sul carburante, queste ultime la molla che ha fatto scattare la reazione indignata dei francesi.
La crisi di Macron e i gilet gialli
Nonostante le concessioni, gli ultimi sondaggi non segnalano alcun recupero dei consensi per il presidente, il quale sprofonda ulteriormente al 23% nei tassi di approvazione, con il suo République En Marche! sceso al 18-19% e superato di 5-6 punti dal Ressemblement National di Marine Le Pen.
C’è tutto l’interesse dei sovranisti a tenere alta la pressione su Parigi fino alle europee, in modo da paralizzare l’azione del governo francese. Costringere Macron a indietreggiare sulle riforme economiche equivale a mettere Bruxelles davanti alla realtà, inducendola a un atteggiamento meno severo nei riguardi di altri stati, come l’Italia. Inoltre, l’Eliseo potrebbe reagire all’eventuale successo delle prossime proteste con l’annuncio di nuove misure in favore delle fasce deboli della popolazione, ma inevitabilmente gravando ancora di più sui conti pubblici, quando già il deficit atteso per l’anno in corso è stimato in 108 miliardi di euro e il debito pubblico rischia di salire al 100% del pil.
La Francia è la Francia e così Macron fa quel che vuole sul deficit
Vi immaginate se la Francia alzasse il disavanzo al 3,5% o più? La Commissione europea, che sinora ha chiuso gli occhi sulla trasgressione delle regole fiscali di Parigi con una sfacciataggine consona alla faccia tosta dei suoi componenti, dovrebbe o accendere i fari sui conti francesi o allentare la morsa sull’Italia. In più, la BCE sarebbe avvertita sull’impossibilità di restringere le condizioni monetarie nell’Eurozona, dato che ciò non farebbe che peggiorare il deficit della seconda economia dell’area.
Sovranisti contro Macron almeno fino alle europee
Del resto, non si potrebbe sperare in un atteggiamento benevolo dei sovranisti italiani verso colui, che questa estate ebbe a definirli “peste d’Europa”. Né è ipotizzabile che il nostro governo possa andare d’accordo con una Francia, che mentre puntava il dito sull’infrazione delle regole fiscali da parte dell’Italia, si accingeva a violarle in maniera ben più spudorata dopo aver beneficiato per un decennio della posizione benevolissima di Bruxelles. I gilet gialli sarebbero il piede di porco, attraverso il quale la maggioranza giallo-verde spererebbe di spostare l’attenzione dal nostro Paese, un po’ come nel 2011 fecero Francia e Germania scaricando sul debito pubblico dell’Italia e degli altri stati del sud tutte le colpe di una crisi, che in verità aveva avuto tutt’altra origine.
Se c’è una cosa che abbiamo imparato negli anni recenti è che il detto “mal comune, mezzo gaudio” si applica benissimo alla finanza. Fin quando è un unico mercato a soffrire, come quello dei nostri bond, la speculazione impazza ai suoi danni alle estreme conseguenze. Se, invece, la crisi si allarga e minaccia di diventare sistemica, ecco spuntare qualche salvatore a mutare le regole del gioco, come la BCE con un “whatever it takes” o la Commissione europea con una interpretazione flessibile delle regole. Detto fuori dai denti, se la Francia fosse anche solo parzialmente lambita dalla sfiducia dei mercati, le istituzioni comunitarie non permetterebbero che le accadesse qualcosa di negativo; scenderebbero in campo per creare un cordone di sicurezza e, così facendo, metterebbero al riparo anche l’Italia, con una politica monetaria ancora più accomodante e/o tempi più lunghi per il risanamento dei conti pubblici.
Macron aiuta Salvini a diventare premier