Che l’Italia venga considerata una minaccia alla stabilità dell’Eurozona è cosa nota da anni e negli ultimi mesi, con la nascita del governo giallo-verde, il refrain è diventato quasi assillante tra i mercati e la stampa internazionale. Con la sua montagna del debito pubblico da 2.300 miliardi di euro, pari al 131% del pil, il nostro Paese è percepito quale estremamente vulnerabile al rialzo del costo del denaro da un lato e alle vicissitudini dell’economia dall’altro. Tuttavia, la storia dei nostri conti pubblici si mostra molto diversa da come viene raccontata.
Debito pubblico, questione di interessi: ecco come Germania e Francia ci battono sui conti
Questo significa che l’Italia, che pure negli anni Ottanta era stata cicala, da oltre un quarto di secolo è diventata una formica. Purtroppo, i risultati non si vedono. Come mai? Nonostante il governo centrale e gli enti locali spendano costantemente meno di quanto incassino, alla fine arrivano gli interessi sull’enorme mole di debito accumulato ad azzerare i sacrifici. I contribuenti italiani risultano tra i più tartassati al mondo e sappiamo quanto l’alta pressione fiscale non trovi corrispondenza nei servizi ricevuti. Tuttavia, ciò non ha consentito al nostro debito di dimagrire in relazione alle dimensioni dell’economia, visto che la voce per gli interessi costringe ogni anno lo stato a continuare a chiudere il bilancio in deficit.
Le cifre di una virtù ignorata
Dal 1992, l’avanzo primario medio è stato del 2,3% del pil, ma con punte del 6,2% nel 1997, anno in cui l’allora governo Prodi stangò famiglie e imprese con la famosa “eurotassa” per entrare nell’area della moneta unica.
Nell’anno da poco trascorso, l’Italia dovrebbe avere portato in dote all’Eurozona quasi un quarto (22,7%) del suo intero avanzo primario atteso, nonostante le dimensioni della sua economia pesino per meno di un sesto del totale dell’area (15,2%). Il raffronto con stati come la Francia non lascia spazio a dubbi: pure in piena crisi, dal 2008 al 2018 solo per un anno abbiamo registrato un disavanzo primario, mentre Parigi non è mai riuscita a segnare un surplus. Se i nostri rendimenti sovrani risultassero meno gravosi, ad esempio ai livelli francesi, i nostri conti pubblici sarebbero sostanzialmente già in pareggio e il rapporto debito/pil si ridurrebbe agevolmente.
In fondo, quello che l’Italia sta pagando come extra-costo rispetto ai partner dell’Eurozona sembra essere la perdita della fiducia dei mercati, avvenuta intorno alla metà degli anni Ottanta, quando le dimensioni del debito divennero gigantesche e tra frequenti svalutazioni della lira e alta inflazione, ai nostri titoli di stato vennero richiesti rendimenti stellari, i quali a loro volta alimentarono la spirale fiscale negativa.
L’unico accordo possibile tra Italia e Commissione sui conti pubblici passa dalla BCE di Draghi