Nei primi sei mesi dell’anno, i fondi d’investimento stranieri hanno acquistato bond sovrani della Turchia denominati in valuta locale per un controvalore di 700 milioni di dollari. E’ la cifra più alta per un semestre sin dal 2021. I rendimenti sono saliti in media al 25%, nettamente sotto il tasso d’inflazione ancora al 60%, ma considerato già sufficiente in prospettiva con il calo atteso dell’inflazione futura. Ad avere attirato capitali dall’estero sono stati anche i bond in dollari. La loro risalita dai minimi di maggio è drastica.
Pensate che la scadenza 15 gennaio 2028 con cedola 9,875% (ISIN: US900123DF45) è passata da 95,40 a 108,10. Il balzo è stato del 13,3%, mentre il rendimento risulta sceso ora sotto il 7,70%. La scadenza 19 gennaio 2033 con cedola 9,375% (ISIN: US900123DG28) ha fatto anche di meglio; dai 90,35 centesimi a cui era precipitata a fine maggio è arrivata a 107,50, mettendo a segno un apprezzamento del 19%. In questo caso, il rendimento è sceso all’8,35%.
Svolta con rielezione Erdogan
La svolta di maggio sul mercato dei bond in Turchia coincide con la rielezione del presidente Recep Tayyip Erdogan. Questi ha cambiato team economico dopo il ballottaggio, richiamando al Ministero delle Finanze Mehmet Simsek e nominando la prima donna a capo della banca centrale, l’ex Goldman Sachs Gaye Hafize Erkan. La politica economica è tornata ad essere ortodossa. Da un lato i tassi di interesse sono stati alzati dall’8,50% al 40% e la lira turca ora scambia sul mercato valutario più liberamente, dall’altro il governo sta risanando i conti pubblici alzando le tasse e tagliando spese superflue.
Dopo anni di misure non ortodosse – i tassi venivano tagliati mentre l’inflazione esplodeva – c’è ora raziocinio ad Ankara. A fine ottobre, ad esempio, Erkan ha smantellato l’ennesimo provvedimento anti-mercato. Ha cancellato l’obbligo per le banche di acquistare bond della Turchia nel caso in cui avessero prestato denaro sopra un certo tasso di interesse o in quantità inferiore a quella desiderata dal governo a favore delle imprese.
Bond Turchia, fattori di rischio
Resta il fatto che la svalutazione della lira turca non sembra completata. Dal tasso di cambio di 29 contro il dollaro, il mercato si attende che arrivi a 40. Dunque, ulteriore calo di oltre il 25%. Altro fattore di rischio è la politica, anzi Erdogan. A marzo si terranno le importanti elezioni amministrative, alle quali saranno chiamati a votare i cittadini di Istanbul, metropoli da 16 milioni di abitanti. Gli investitori temono che il presidente torni ad invocare il taglio dei tassi per favorire il proprio elettorato, rappresentato da molte imprese attive particolarmente nel settore delle costruzioni.
La banca centrale stima che l’inflazione a fine 2025, cioè tra due anni, scenda al 14%. Questo sta diventando per il momento il riferimento con cui confrontare i rendimenti a medio-breve termine. A patto che l’istituto non devii dalla sua ortodossia ritrovata in campo monetario. Per non parlare delle tensioni geopolitiche. Erdogan si è schierato contro Israele e in difesa di Hamas, gli Stati Uniti non stanno apprezzando. E questo arriva dopo che Ankara ha rotto l’unità della NATO contro la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Senza queste posizioni anti-occidentali, il mercato sovrano risulterebbe più appetibile agli stranieri.