In Italia il livello di conoscenza finanziaria è al di sotto della media europea. Rispetto agli Stati Uniti poi c’è un abisso. Nel nostro Paese c’è ignoranza finanziaria galoppante, come ha evidenziato anche la Consob in un recente relazione presentata in parlamento. Tanto in tema di investimento, quanto di pensioni, il che rende la nostra popolazione più debole. Insomma, sappiamo tutto di sport, arte cultura e spettacolo, ma non sappiamo nulla di come gestire al meglio le nostre risorse economiche.
La previdenza complementare
Vero anche che la giungla di informazioni e le complicanze burocratiche non aiutano, soprattutto in fatto di previdenza complementare, ma è altrettanto vero che la finanza risulta per la maggior parte degli italiani una materia ostica, dura da digerire.
Un lavoratore su tre destina il TFR ai fondi pensione
Negli ultimi 10 anni sono stati girati ai fondi pensione non più del 21% della quota di TFR spettante ai lavoratori, per una cifra pari a 62,3 miliardi di euro su un totale di 294,3 miliardi. Una cifra molto bassa se si pensa che il rendimento dei fondi aperti è stato del 4,1% quello dei fondi negoziali del 3,7%, contro il 2% offerto dalla rivalutazione Istat. Sempre stando ai numeri, meno di un lavoratore su tre è iscritto alla previdenza complementare per un totale di 7,9 milioni di lavoratori, contro una media Ue che super il 40%. Eppure di fronte alle incertezze del futuro e al rischio di percepire una pensione Inps sempre più bassa perché calcolata col solo regime contributivo, gli italiani sembrano non preoccuparsi, salvo poi lamentarsi che gli assegni della pensione saranno troppo bassi.
L’ignoranza finanziaria
In definitiva, due italiani su tre hanno poca conoscenza delle possibilità di sfruttare al meglio le risorse finanziarie che hanno a disposizione per pianificare un ottimale ritiro dal mondo del lavoro. Anche dal punto di vista fiscale, poiché sono previste forme incentivanti per sottoscrivere le pensioni integrative. Andare in pensione confidando solo sull’Inps sarà sempre meno proficuo perché lo Stato tenderà ad erogare assegni sempre più bassi. Il TFR, d’altro canto, è visto ancora come una forma di accantonamento di denaro indisponibile fino al termine del rapporto di lavoro, cosa sbagliata da quando è stata introdotta la riforma nel lontano 2006. Ma tant’è, vi è anche inadeguata informazione a livello scolastico e sindacale in materia, per cui non è tutta colpa dei lavoratori se non sanno come investire i loro risparmi.